Scrivere un romanzo avvincente e scrivere una serie televisiva a puntate sono cose profondamente diverse?

Non molto tempo fa sono stata ospite di un noto programma televisivo nel quale si parla di cinema, televisione e anche di libri. A un certo punto ho fatto una dichiarazione che già di norma fa strabuzzare gli occhi a chi la ascolta, e che in tale occasione mi è valsa un piccolo attacco sarcastico da parte di un blogger. Copio e incollo, più in basso, il brano incriminato, tratto da un post (peraltro scritto benissimo) che potete trovare qui.
Aggiornamento: il blog in questione è sparito dalla rete.

Un ex direttore della Rai, altro habitué della combriccola marzulliana, fomenta il delirio: «Al cinema bisogna andarci sempre, qualsiasi cosa facciano». «”Natale in India” mi è piaciuto molto». «La televisione è sempre educativa».
Un momentaneo cedimento alla ragione, durante il quale il suddetto esprime la sua totale contrarietà alle ‘soap opera’, viene subito corretto dalla scrittrice-sceneggiatrice Rita Charbonnier, autrice del romanzo dal pur impegnativo ed ambizioso titolo “La sorella di Mozart“: «La telenovela può essere anche di grande valore. Mi creda: se io non avessi lavorato alla stesura di soap, non sarei mai riuscita a scrivere un romanzo».
D’altronde quale grande scrittore non si esercita e studia su “Orgoglio” o “Centovetrine”? Sicuramente gli ultimi premi Nobel del calibro di Coetzee, Naipaul, Saramago, Grass, etc. avranno fatto tesoro degli insegnamenti di “Beautiful”.
Fine del copia-incolla. Fermo restando che non c’è sicuramente bisogno di studiare i meccanismi narrativi del feuilleton per vincere il Nobel della letteratura, è curioso come nel parlare comune la soap opera sia inevitabilmente il miglior campione di spazzatura: sciocca, melodrammatica, da donnicciole, tagliata con l’accetta, recitata da cani e scritta coi piedi. Eppure non è altro che un genere di racconto a puntate, che discende appunto dal feuilleton e dal dramma radiofonico. Non ha grandi ambizioni artistiche, ma per contro ha alte ambizioni narrative, realizzare le quali è necessario alla sua sopravvivenza. Ovvero: se il pubblico non si appassiona alle vicende di Brooke e Ridge, il programma chiude, si va tutti a casa e si perde il lavoro.
In questi giorni ho per le mani Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas padre. Nell’edizione che ho comprato (BUR) c’è una prefazione di Umberto Eco, che spiega come la qualità letteraria e la qualità narrativa, in un romanzo, siano cose ben distinte.

Il conte di Montecristo è senz’altro uno dei romanzi più appassionanti che siano mai stati scritti e d’altra parte è uno dei romanzi più ‘mal scritti’ di tutti i tempi e di tutte le letterature. (…) Pieno di zeppe, spudorato nel ripetere lo stesso aggettivo a distanza di una riga, incontinente nell’accumulare questi stessi aggettivi, capace di aprire una divagazione sentenziosa senza più riuscire a chiuderla perché la sintassi non tiene. (…)
Lo stile narrativo non ha nulla a che vedere con lo stile poetico, o epistolare. Il Grande amico di Alain Fournier è indubbiamente scritto molto meglio del Montecristo, ma alimenta la fantasia e la sensibilità di pochi, non è immenso come Montecristo, non così omerico, non è destinato a nutrire con pari vigore e durata l’immaginario collettivo. È ‘solo’ un’opera d’arte. Il Montecristo invece ci dice che, se narrare è un’arte, le regole di quest’arte sono diverse da quelle di altri generi letterari. E che forse si può narrare, e far grande narrativa, senza fare necessariamente quello che la sensibilità moderna chiama opera d’arte.
Non è poi così facile creare una trama avvincente. Ci vuole intuito, passione e anche mestiere, e in questo senso la soap opera dei nostri giorni può essere una buona scuola — ovviamente se si capita accanto a professionisti di valore. Si lavora in gruppo, difatti, confrontandosi e analizzando soluzioni narrative diverse; si sbaglia, si impara. Anche il grande narratore ottocentesco Alexandre Dumas lavorava in gruppo: si avvaleva di diversi collaboratori e non tentava di nasconderne l’esistenza, poiché “loro stanno a me come i generali a Napoleone”.
Con questo non voglio dire che dobbiamo tutti guardare le soap opera (o scriverle). Spesso sono realizzate male, spesso sono anche scritte male, e si prestano a esilaranti e formidabili prese in giro: “Pedro, bevi qualcosa… bevi qualcosa, Pedro!” “Sono Bella Figheira, la fidanzata di Don Rodrigo…” “Lui non è tuo fratello: è il tuo pesce rosso!”
Ma un racconto che pone al centro del proprio interesse l’amore, quello vero, è così disprezzabile?
“Il Conte di Montecristo” è appassionante per un certo tipo di lettori, ma è una lettura di evasione che lascia il tempo che trova. E’ una storia farraginosa, le situazioni non sono realistiche, la psicologia dei personaggi è esasperata, superficiale e poco credibile. E’ per questo che è letteratura minore, non per la scarsa cura della forma. Malgrado ciò io credo che Dumas sia artisticamente superiore a qualunque sopopera televisiva e il paragone non mi sembra pertinente. Comunque, cara Rita, io non penso che la tua scrittura sia una conseguenza della frequentazione di quel genere televisivo. Le trame della sopopera fanno pietà e così pure i dialoghi. Aver fatto parte di gruppi di scrittura può averti aiutata, ma dire che se non l’avessi fatto non saresti riuscita a scrivere un romanzo mi sembra che ti sminuisca.
Se andare a letto col padre, il figlio e il nipote, come fanno le donne della soap, è “amore quello vero”, stiamo messi proprio male…
Accipicchia! C’è del giusto in entrambi gli interventi.
Rispondo prima al secondo. Io stessa, dopo aver pubblicato l’articolo, mi ero resa conto di essermi espressa male: l’amore descritto nel genere in oggetto non è “quello vero”, ma “quello che non trova pace”. Poiché il “vissero felici e contenti” non ha posto in una storia, se non quando la storia è finita – e questo vale per TUTTI i racconti, da quelli che si scambiavano i nostri progenitori attorno al fuoco alla più raffinata opera letteraria contemporanea. Va da sé che, in un racconto che non finisce mai, la pace non si trova mai.
Riguardo all’intervento di Ali, hai ragione: una storia non ha solo l’aspetto narrativo e stilistico, ma ha anche quello della costruzione psicologica dei personaggi, che è forse la parte più tosta e che ha bisogno di maggior maturazione. E ti ringrazio per avermi fatto riflettere sulla mia tendenza a togliermi dei meriti, e attribuirli ad altri; insomma, a svalutarmi. Hai presente il personaggio di Nannerl…?
I contenuti delle soap… se da un lato è vero che la miscellanea di incesti si presta a battute divertenti, dall’altro è pur vero che sono seguite, e con passione, da tante e tante persone…
Chi può dire che la lettura di Musil sia proponibile ha tutti? Chi può dire che la saga degli incesti, delle tristi bassezze possibili umane descritte nella tragedia greca non si rispecchi, in un qualche modo che arricciando il naso rifiutiamo di valutare, anche nella soap?
Resta il fatto che il lavoro che porta a sceneggiare la soap come qualsiasi altro scritto è un lavoro di pari dignità…e, da parte degli sceneggiatori, sarà ugualmente necessaria tutta l’abiltà e l’intelligenza possibili per rendere credibili al loro pubblico quelle storie. Senza parlare di quel che significa lavorare in gruppo ad un progetto creativo: è proprio nella capacità di seguire un percorso che coesista con la creatività di altri che mi sembra d’intravedere un arricchimento ulteriore dell’abilità soggettiva rispetto a chiunque segua seppur brillantissimi percorsi individuali.
Non sono veramente entrata in merito ai contenuti ma prima di invitare a cercare una spiegazione possibile del successo d’ascolti della soap inviterò a riflettere sull’esigenza da sempre espressa dall’uomo di veder raffigurati i suoi desideri più temibili incestuosi o infantili, comunque delittuosi o banalmente ripetitivi.
E’ dalla capacità creativa di un gruppo che diventano credibili e contenibili i contentuti attinti da questo ‘magma umano’. Attraverso il suo lavoro diventa possibile una rappresentazione di quei contenuti indicibili, incomunicabili altrimenti più frequentemente destinati all’azione.
Io trovo interessante la discussione ma ne sposto l’asse. Quello che mi pare salti agli occhi, è che lo spettacolo non è arte, almeno non sempre e non si può procedere a confrontare una telenovela con un libro. Certo anche fra i libri ci sono quelli d’intrattenimento la cui unica aspirazione appunto è intrattenere, cioè una lettura d’evasione, e poi ci sono quelli che tendono a divenire I promessi sposi. Confrontarli nel merito è come voler confrontare un chilo di pane e un litro d’acqua, certo è che mangiando del pane ti nasce la necessità di bere dell’acqua. Quindi che ben vengano le soop o i libri d’evasione, nella speranza che mangiando di questo pane si arrivi a desiderare l’ulisse di Joyce.
Sono pienamente d’accordo, Roberto. L’unico campanellino che mi ha trillato in testa, leggendo il tuo intervento, è stato alla parola “speranza”. Perché bisogna “sperare” di desiderare la letteratura alta, altissima, se per vivere si ha bisogno sia del pane che dell’acqua? Certo, di sola acqua si può campare, ma mica tanto a lungo…
Penultimo numero di una rivista che si chiama TV: in copertina c’è Enrico Vaime (celeberrimo autore di programmi televisivi di intrattenimento), denominato “il senautore”. All’interno, in una lunga intervista, spara a zero su buona parte dei programmi televisivi e poi dice più o meno così: sì, alcune fiction sono fatte bene, altre male… ma escludo dal discorso le soap-operas che, per loro natura, sono scritte male e recitate peggio.
Cambieranno mai le cose? Io penso di sì. Mai perdere la speranza!
Che noia lo snobismo, tipicamente italiano, nei confronti della soap opera… a lungo mi sono innervosita, ora ho deciso di snobbare gli snob, se preferiscono criticare invece di vedere cosa c’è di buono.
Se qualcuno è d’accordo con Vaime, lo dica!
E riguardo al secondo intervento anonimo, sono d’accordo sul fatto che si tratti di un fenomeno “tipicamente italiano”, perché anche a me è capitato di verificare che in altri contesti c’era curiosità e interesse, quando raccontavo che scrivevo questo genere di programma.
Se invece si parlava di “Reality show”, o meglio di “Reality TV show”, come si dovrebbe dire (se usiamo le espressioni in inglese, usiamole bene, altrimenti perché non usare l’italiano che è tanto bello?) c’era, più che snobismo, scandalo. E devo dire che la diffidenza nei confronti dei Reality la condivido abbastanza. Per una questione morale. Il Reality si pone appunto come realtà, e invece è finzione. E’ tutto pilotato, preordinato, programmato. Quindi la più bieca telenovela, quella nella quale si vedono i microfoni in campo e gli attori non fanno che ripetere “Pedro, bevi qualcosa” (come nelle divertentissime prese in giro del trio Lopez-Marchesini-Solenghi, ricordate?) è moralmente preferibile al più costoso e patinato Reality, perché non si basa su una menzogna. E’ finzione, punto e basta. Non pretende di essere qualcosa di diverso. Invece il Reality è finzione che racconta al pubblico di essere realtà.
La discussione era partita dall’ipotesi che la frequentazione, da parte di uno scrittore, di un gruppo di lavoro addetto alla creazione di una soap televisiva possa influire sulla capacità dello scrittore stesso di costruzione di un’opera letteraria. A mio parere le capacità letterarie sono in massima parte innate.
Ma a parte questo, mi piacerebbe che le persone che in televisione ci lavorano e hanno facoltà di decisione (come ad es. il dirigente RAI che parlò male della soap in televisione), invece di denigrare la soap cercassero le soluzioni per darle migliore qualità; e vi dirottassero magari parte dei fondi spesi per altri spettacoli di cosiddetta vita vissuta con annessi premi pecuniarii, che quelli sì rasentano la vergogna, e sono immersi nella stupidità.
Non so se le capacità letterarie siano innate… non so quali capacità siano effettivamente innate e quali invece derivino dall’apprendimento o dalla pratica.
Ma sottoscrivo la seconda parte dell’intervento di Ali: meglio tentare di migliorare le cose, anziché sputarci sopra; soprattutto se lo sputo finisce magari non proprio nel piatto in cui mangiamo, ma in quello in cui mangia il nostro vicino di scrivania (dirigenziale)…
Un’amica mi segnala il sito del Museum of Broadcast Communications di Chicago. Ecco l’indirizzo (temo dobbiate copiarlo e incollarlo):
http://www.museum.tv/archives/etv/S/htmlS/
soapopera/soapopera.htm
Questa è la conclusione dell’articolo, di Robert C. Allen:
“Derided by critics and disdained by social commentators from the 1930s to the 1990s, the soap opera is nevertheless the most effective and enduring broadcast advertising vehicle ever devised. It is also the most popular genre of television drama in the world today and probably in the history of world broadcasting: no other form of television fiction has attracted more viewers in more countries over a longer period of time.”
Il che vuol dire più o meno:
“Derisa dai critici e disprezzata dai commentatori dagli anni ’30 fino ai ’90, la soap-opera è tuttavia il più efficace e durevole veicolo pubblicitario che sia mai stato inventato. E’ inoltre la serie televisiva di genere drammatico più popolare che esista al mondo, e probabilmente che sia mai esistita: nessuna altra forma di fiction televisiva ha attratto più spettatori in più paesi per un maggior periodo di tempo.”
Le prime soap che si sono viste in Italia erano le telenovelas brasiliane, che si trovavano un po’ dovunque facendo zapping nei nuovi canali televisivi fioriti dopo la liberalizzazione della TV. Poi il sistema si è assestato nel duopolio che conosciamo ora, e le soap di produzione nostrana sono diventate anche nel nostro paese “il più efficace e durevole veicolo pubblicitario”.
Nelle nostre soap c’e’ però qualcosa di più. Secondo me rappresentano la quintessenza della cultura del periodo berlusconiano. Qualcuno sostiene che il berlusconismo coincida con la seconda grande modernizzazione del nostro paese. La prima è stata il passaggio da società prevalentemente agricola a società prevalentemente industriale nei primi decenni del dopoguerra; la seconda è stata il passaggio da società industriale a società di terziario avanzato. Il sistema televisivo non è stato solo lo specchio di questi fenomeni: ne è stato anche un importante fattore di promozione e di propulsione.
Le soap hanno influenzato in modo tremendo la struttura narrativa di tutta la fiction italiana: ad esempio, con poche eccezioni, la filmografia nostrana utilizza gli stessi schemi retorici delle soap (le stesse assurdità dei dialoghi , delle situazioni e delle storie), e mi sembra che ne sia stata dolorosamente impoverita. Ho il forte sospetto che anche la narrativa letteraria sia anch’essa fortemente influenzata dalle soap (però in effetti non ne ho esperienza diretta perchè non leggo romanzi).
Si tornerà ad una situazione più normale (quella in cui le soap non rappresentano più un modello di riferimento culturale, ma coesistono insieme agli altri generi di intrattenimento popolari, i fotoromanzi, i racconti di Liala, ecc.)? Ai posteri l’ardua sentenza. Però possiamo formulare una ragionevole speranza: quella basata sull’esperienza per cui tutti i periodi storici prima poi tramontano, e che quindi anche il berlusconismo prima o poi finirà…
Grazie, Silvano, per essere intervenuto. Curioso e gratificante come questa discussione sia in assoluto la più frequentata e ponderata del blog.
Quando penso al berlusconismo televisivo mi viene in mente qualcosa di diverso dalla soap: donne formose in bikini che ancheggiano e protendono le labbra. Fu quella, a mio parere, la novità introdotta in Italia dall’avvento delle televisioni commerciali. Io ero piccola, ma guardavo “Drive in” e proprio non capivo perché ci fosse bisogno di accostare ai comici (maschi) degli oggetti sessuali (femmine) così grossolani.
Si torna sempre allo stesso punto: la soap fa schifo, punto e basta. E’ il simbolo del Male in varie forme: qualitativa o addirittura politica. La si usa, non conoscendola, per buttarci dentro ciò che si teme o si aborre. (Possiamo proiettare le nostre fantasie soltanto su ciò che non conosciamo, come dice la mia amica Giulia, psicologa).
I miei colleghi sceneggiatori che scrivono altri generi la considerano di serie Zeta, e perché? Perché se c’è una cosa di cui un creativo ha una paura tremenda, è di essere considerato di serie Zeta. Giudicando severamente la soap, allontanano da sé la paura del giudizio. Allo stesso modo, altri la vedono come il simbolo di ciò che massimamente vorrebbero allontanare da sé (Berlusconi).
Io ho sempre pensato che si tende a disprezzare questo genere solo e semplicemente perché parla di sentimenti. Che a volte ne parli in modo un po’ semplicistico, o attraverso dialoghi che possono sembrare banali (che però non sono per niente facili da scrivere, ve lo dice una che ha appena pubblicato un romanzo storico in mezza Europa), siamo d’accordo. Nessuno è perfetto. Ma abbiamo tutti paura del tradimento, della solitudine, dell’incesto, della non realizzazione sentimentale. Ecco perché abbiamo tutti paura della soap.
Cara Rita,
come ti ho già scritto via email, mi scuso per il mio ritardo nel risponderti, ma ho scoperto solo da pochissimo il commento che hai lasciato nel mio articolo.
Innanzitutto ti ringrazio per lo “scritto benissimo!”, detto da una professionista mi lusinga notevolmente, come d’altronde mi lusinga l’aver dato lo spunto per questa interessantissima discussione.
Leggendo il tuo articolo effettivamente sono stato costretto a ridimensionare in parte le mie posizioni: non avevo riflettuto sulla questione del feuilleton e vista da quest’ottica non posso che constatare il valore di “palestra creativa” che può assumere la costante forzata ricerca di nuovi sviluppi narrativi, seppure in un prodotto artistico che bada ben più al consumo che alla qualità.
Come dicevo però ho ridimensionato le mie posizioni solo in parte: il feuilleton infatti era destinato ad un pubblico mediamente più colto rispetto al target delle odierne soap; all’epoca de “Il Conte di Montecristo” infatti le fasce di popolazione alfabetizzata erano assai più ridotte e la scarsa quantità portava ad una maggiore qualità media nella cultura del singolo fruitore di letteratura.
Le soap sono invece un tipico prodotto del consumismo che vuole consumatori istruiti ma non troppo in modo tale da poter vendere con facilità e senza troppe analisi critiche dell’utenza.
E guarda caso la soap sono studiate proprio per i cosiddetti cittadini “medii”, ovvero quelli senza troppe esigenze intellettuali. La proverbiale casalinga, per intenderci.
Questa casalinga in fondo non vuole che trame avvincenti non eccessivamente complesse in modo da potersi immedesimare in una vita che pure non avrà mai. Adorno chiamava le telenovelas “letteratura amena”, ovvero quella che mescola delittuosamente realtà ed artificio, mentre invece l’alta letteratura palesa il suo status di finzione così da poter fungere da strumento critico del reale stesso.
L’alta letteratura può far ciò in virtù della prioritaria attenzione posta sulla FORMA, concetto centrale nell’arte, a cui il contenuto appare stentatamente ala pari se non subordinato. Le soap invece puntano tutto sul contenuto, trascurando quello che è il nodo principale della creazione artistica, che rende l’arte tale, differenziandola dal reportage: un evento può essere raccontato in mille modi diversi, ma per un’opera letteraria non vale la proprietà commutativa; di fronte ad un romanzo, un racconto, una sceneggiatura abbiamo a che fare con qualcosa di molto simile ad una formula alchemica, ad una combinazione da cassaforte: nulla può esseremtato onde stravolgere l’insieme. Prova a scrivere diversamente l’incipit de Le Metamorfosi di Kafka…Ecco: la forma richiede che nulla possa essere diverso da com’è.
E nelle soap cura per la forma proprio non riesco a vederla.
Quello che dici è tutto vero: è un dato di fatto che le telenovelas appassionino milioni di persone e non è così facile far appassionare milioni di persone. Ma il punto è che quelle sono persone senza grandi pretese culturali, per le quali un lavoro finemente elaborato perderebbe di immediatezza e genererebbe disaffezione, cosa inammissibile per l’industria dell’intrattenimento. Mentre la fattura pregiata è una delle caratteristiche della Letteratura con la L maiuscola.
Dico tutto ciò magari con un po’ di snobismo, ma di certo senza disprezzo.
Bene, temo di essermi dilungato fin troppo e di aver rubato ben più del tempo che ti eri proposta di dedicarmi.
Inoltre non sono sicuro di essermi spiegato a dovere: mi capita sempre quando mi faccio prendere la mano ed inizio a sproloquiare.
Grazie ancora per l’attenzione.
P.S. Ovviamente, boicotta marzullo!:-)
Grazie, Claudio, del tuo intervento. Sono sempre più convinta di dover trasferire questa discussione in una sede meno scomoda: ormai è finita in fondo all’archivio… appena riuscirò a farlo, te ne darò notizia.
Solo un piccolo commento alle tue parole: resteresti stupito nello scoprire quanti professori universitari guardano con passione “Un posto al sole”…
A presto, Rita
stiamo facendo una telenovela in diretta blog – hai la connessione ad internet veloce vero ? mi puoi fare un controllo sul mio sito
http://www.zecchinelli.it
se si riescono a vedere i cartoni animati che realizzo perchè qualcuno mi dice che non riesce a vederli in stream video (cioè clicchi e vedi subito il cartone animato) ma deve prima scaricarli mentre io riesco a vederli in stream video ed è quello che dovrebbe accadere anche agli utenti che navigano nel mio sito.
Grazie grazie .
Wow, telenovela in diretta blog… sembra una cosa molto interessante! In bocca al lupo!