Cinque domande a Giorgia Lepore

Parla l’autrice de L’abitudine al sangue, romanzo storico pubblicato da Fazi

Giorgia Lepore vive in Puglia, a Martina Franca. E’ archeologa specialista in Archeologia Medievale e ha al suo attivo coordinazioni di scavi in tutta Italia. E’ assegnista di ricerca presso la cattedra di Archeologia e Storia dell’Arte Paleocristiana e Altomedievale dell’Università di Bari. L’abitudine al sangue è il suo primo romanzo, con il quale è stata inserita nella cinquina dei finalisti al Premio Acqui Storia 2009.

"L'abitudine al sangue" di Giorgia Lepore

Il protagonista del tuo romanzo, figlio dell’Imperatore di Bisanzio, si ribella al ruolo di guerriero impostogli dal padre e subisce le drammatiche conseguenze della sua insubordinazione. Perché hai voluto raccontare questa storia?

D’istinto ti direi: chiedilo alla storia, perché ha voluto essere raccontata da me? E’ una battuta, ma spiega abbastanza bene lo stato d’animo che ho avuto nei confronti di questo romanzo per lungo tempo. Mentre scrivevo non riuscivo a capire cosa c’entrasse quella storia con me, da dove venisse fuori. Sembrava una cosa “estranea”. Forse dipende anche dalla velocità con cui è stata scritta, di getto, senza alcun progetto o scaletta, senza un programma. Molte cose le ho capite dopo, quando sono riuscita a prendere il necessario distacco, a pensarci sopra. Evidentemente si trattava di cose sedimentate dentro di me che sono venute fuori in maniera automatica.

Questo si può dire facilmente per l’ambientazione, a me talmente familiare e nota da costituire un terreno assolutamente naturale sul quale muovermi a mio agio. Meno evidenti, anche a me, le motivazioni di altre scelte, i personaggi, i temi… e invece, poi ho capito che la storia è stata scritta perché avevo bisogno di pensare, e scrivendo mi sono obbligata a farlo.

Dici che l’ambientazione del romanzo ti è familiare: mi piacerebbe sapere qualcosa di più delle attività extra-letterarie di Giorgia Lepore.

Per anni ho fatto l’archeologa, specializzata nel settore medievale. Mi sono laureata a Roma, poi sono rimasta per un po’ all’università, poi ho scavato in giro per l’Italia. Finché non sono tornata in Puglia e ho continuato con il mio lavoro all’Università di Bari. Mi sono sempre occupata di medioevo, soprattutto i primi secoli, ho studiato, scavato, pubblicato… Mentre scrivevo il romanzo, per esempio, stavo portando avanti una ricerca sugli insediamenti rupestri della fascia adriatica pugliese, e le suggestioni di quelle grotte si sentono nel romanzo. Quindi nella narrazione è confluito un po’ tutto, studi, storia, fonti storiche con cui sono abituata a confrontarmi, ma anche un rapporto “materiale”, quotidiano, con il passato a cui noi archeologi siamo abituati. Scavando ti fai un sacco di domande, impari a considerare ogni traccia lasciata da chi ci ha preceduti, non solo le cose scritte sui libri di storia. Ecco, credo che questo rapporto così intimo, per certi versi, con il passato, sia stato fondamentale per la scelta di un’ambientazione storica e per il taglio che ho dato al mio romanzo.

Adesso, oltre all’archeologia, ho anche un altro lavoro: insegno Storia dell’Arte nelle scuole superiori. Se aggiungiamo anche la scrittura, sono tre cose belle impegnative… Ma non riesco a lasciare nessuna delle tre, mi piacciono troppo.

Quanto c’è di inventato, e quanto di storicamente accertato, nel romanzo?

Tutto e niente al tempo stesso. La storia, i personaggi, sono completamente inventati. E allo stesso tempo sono verosimili, più reali quasi di quelli effettivamente esistiti… mi spiego meglio. I personaggi sono degli archetipi, perciò condensano in sé caratteristiche peculiari di personaggi reali, particolarmente significativi della storia bizantina. E quindi le loro dinamiche, i loro moventi, azioni, sentimenti, sono assolutamente plausibili. E lo stesso vale per le ambientazioni, i luoghi in cui i personaggi si muovono, che invece sono reali.

Un processo del genere nasce dalla frequentazione “quotidiana”, a cui alludevo prima, durata anni, dei libri di storia e soprattutto delle fonti storiche. Mi sono presa un piccolo lusso, quello di giocare con la storia, di inventare un pezzo di storia che non esiste, e di incastrarlo là, tra quello che invece è accaduto davvero; d’altra parte ho preso dei frammenti di storia vera e li ho cuciti insieme, in maniera arbitraria. Diciamo che volevo in parte riprodurre il meccanismo che sta alla base dei miti, delle leggende, delle favole. L’Iliade non è storia, però c’è in essa molta più verità di quanto noi possiamo immaginare, probabilmente, anche se i nomi, i tempi, i luoghi magari non erano quelli. Ma la storia non è fatta solo di nomi, luoghi, date. E’ fatta di uomini, soprattutto, di relazioni. Volevo indagare questo aspetto.

Che cos’è la scrittura, per Giorgia Lepore?

Conoscenza. Indagare qualcosa dentro e fuori di me. Uno strumento potentissimo di ricerca, pensiero, meditazione, esplorazione, sperimentazione, creazione dell’impossibile. In questo senso, credo che avrei molta difficoltà a scrivere in maniera autobiografica e realistica, che noia… E anche divertimento, gioco. Il mio modo di scrivere è molto attivo, ricorda i giochi che si facevano da bambini, scambio di ruoli, dialoghi, movimenti. Quando scrivo, direi quasi che sceneggio, interpreto.

Credi che l’attività di una scrittrice si differenzi in qualche modo dall’attività di uno scrittore? Secondo Giorgia Lepore, esiste una “scrittura femminile”?

Sono proprio la persona sbagliata a cui rivolgere questa domanda… visto che per il mio romanzo d’esordio ho scelto di parlare al maschile! O invece proprio per questo sono la persona giusta, chissà…

Giorgia Lepore
Giorgia Lepore

In teoria, secondo me non dovrebbero esistere differenze di “genere”, almeno in letteratura. Però poi di fatto esistono. Non si può negare che esista un tipo di narrazione “femminile”: penso ad esempi arcinoti, Isabel Allende, Dacia Maraini, Marcela Serrano… Però non può essere limitante, nel senso che il fatto di essere donna non dovrebbe precludere un tipo di narrazione diversa, magari generi considerati più squisitamente maschili. E questo avviene, per fortuna. Però forse più all’estero, dove esistono scrittrici di gialli o di thriller anche molto “maschili”, mentre in Italia forse siamo più legati a cliché che sarebbe il caso di abbandonare, finalmente.

Per quanto mi riguarda, la scrittura al “femminile” è un genere che non pratico molto. Preferisco avere un approccio neutrale, sia da lettrice, sia da scrittrice. E non capisco perché una donna debba parlare per forza di donne. Una delle cose che hanno stupito di più i lettori del mio romanzo (specie gli uomini) non è stato tanto il fatto che parlasse di “sangue”, ma anche di guerre, battaglie, vita militare. Come mai? Mi è stato chiesto più di una volta. La risposta è stata: perché no? Dobbiamo parlare solo di amore, madri, figli, sorelle, amiche…? La vita al femminile la conosco, la vivo. E allora, quando scrivo, forse ho voglia di parlare di altro. Di indagare qualcos’altro, che magari non mi appartiene. Però poi magari un giorno mi viene di raccontare una storia lacrimosissima di mamme e figlie, di amori sfortunati, donne che si tagliano le vene… mai dire mai, nella vita…

Oltre agli argomenti, alla narrazione in prima persona al maschile, mi piacerebbe provare un giorno anche un “linguaggio” maschile. Nel senso di stile, di rapporto con la parola. E’ diverso da quello delle donne, e proprio per questo mi incuriosisce. D’altra parte, è bella anche la scommessa opposta, un uomo che parla al femminile. E’ più frequente, credo, del contrario, ma usare una voce narrante femminile non basta. Ci vuole il linguaggio, anche, i temi. Un bel libro sulla maternità scritto da un uomo. La scrittura è un terreno magico, quindi perché limitarsi a riprodurre la realtà? Mi piace di più l’idea di una scrittura che crea l’impossibile.

About

Questo è il sito di Rita Charbonnier, autrice dei romanzi Figlia del cuore (di prossima uscita per Marcos y Marcos), La sorella di Mozart (Corbaccio 2006, Piemme Bestseller 2011), La strana giornata di Alexandre Dumas e Le due vite di Elsa (Piemme 2009 e 2011). Scopri di più...

    24 commenti su “Cinque domande a Giorgia Lepore

    1. Ma che belle domande! E che belle risposte!
      Chissà perchè ero convinto che non ci fossero più donne intelligenti in giro.

      Salvo Zappulla

    2. Bella intervista.
      Interessante la riflessione di Giorgia, sulla scrittura come ponte per sperimentarsi, e dello scrittore che parla al femminile. Secondo me, a tale proposito, un piccolo capolavoro è “La strega innamorata” di Pasquale Festa Campanile (ambientato al tempo di Urbano VIII, per rimanere nel campo dei romanzi storici). Nel libro, narrato in prima persona dalla strega Isidora, l’autore sfoggia una spettacolare capacità di vedere l’universo dal punto di vista femminile.

    3. grazie luca. sapevo di quel libro ma non l’ho mai letto, ora che me lo hai ricordato forse lo farò… anche perchè l’ambientazione è bellissima.
      comunque secondo me è così. già siamo tanto “incatenati” dalla realtà, perchè precludersi la possibilità di abbattere un po’ di barriere almeno nella scrittura? e poi secondo me “maschile” e “femminile” sono dei concetti molto relativi. Limitanti, appunto.
      grazie e ciao!

    4. Sottoscrivo l’affermazione di Giorgia e francamente non riesco a capire perché ci sia questo bisogno generalizzato di dividere le sensibilità ed espressioni umane in due macrocategorie, oltretutto difficilmente definibili. Se qualcuno riesce a darmi una definizione chiara e univoca, oserei dire scientifica, di quali sarebbero le caratteristiche di sensibilità, creatività, punto di vista, psicologia, scrittura ecc. ecc. “femminile” e “maschile”, gli regalo un mappamondo. Si scivola facilmente nello stereotipo; uno stereotipo al quale la società chiama uomini e donne a uniformarsi. Solo nel caso della sfera fisica (e nemmeno sempre) la definizione è chiara, univoca e scientifica. La vita ci insegna che esistono più di due sessi e che dividere le sensibilità e le espressioni creative in due macrocategorie non solo è riduttivo, ma criptodiscriminatorio.

      Ciò detto, ebbene sì, Giorgia, Luca è un collega e infatti “questa” strega starebbe cucinando un’intervista anche per lui… se vorrà.

      Buonanotte! E grazie a tutti e due!

    5. criptodiscriminatorio è bellissimo…. 🙂
      manco tanto cripto, comunque. però mi pare che per quanto riguarda la scrittura sono le donne che si autoghettizzano. certe volte c’è una insistenza sulla scrittura al femminile, con quel “parliamo di donne”, con donne, su donne… è chiaro che c’è dietro (come al solito) una strategia di mercato, però forse non ci si dovrebbe prestare a questa trappola.
      anche perchè poi spesso c’è anche una banalizzazione del femminile dietro tali operazioni.
      insomma, credo che lo sbandieramento di valori cosiddetti femminili, questo parlarsi addosso, dietro la maschera della condivisione e della “sorellanza” nasconda a volte una soluzione un po’ di comodo e porti a una, come dicevo prima, autoghettizzazione.

      ho avuto modo di conoscere il libro di Luca attraverso un dibattito su anobii… allora lieta di conoscerlo!
      e visto che ci siamo… abbattiamo un altro muro… basta con l’etichetta di “romanzi storici”… potremmo parlare di romanzi e basta? 😉
      grazie rita per questo spazio! sei una perfetta padrona di casa…
      buona giornata!

    6. @Rita: ben felice di essere “cucinato” a fuoco lento in una tua intervista!

      @Giorgia: sono d’accordo. Esiste una certa tendenza non solo nella letteratura, ma per esempio anche nelle fiction, a chiudere il mondo femminile in stereotipi circolari. Molto banale, anche perché le figure femminili più affascinanti sono proprio quelle in grado di rompere questi stereotipi. In tutti campi: penso per esempio a Marie Curie, madre e moglie devota, e nello stesso tempo una scienziata ante litteram.
      Invece, personalmente, “la sorellanza” non la reggo e in qualunque salsa mi provoca un’incontenibile orticaria.
      Buona giornata!
      Luca

    7. Mmmh, Luca… mi chiedo se di Pierre Curie avresti detto “padre e marito devoto, e nello stesso tempo scienziato”… okay, si tratta di personaggi dell’Ottocento, ma noi li osserviamo da un mondo assai diverso…

      Giorgia: ancora una volta sono d’accordo, le donne sono quanto meno corresponsabili. E riguardo all’etichetta “romanzo storico”, mi sento un po’ in colpa perché sotto tale etichetta (letteralmente: vedi gli Argomenti sotto il titolo del post) rientra anche questa discussione… io però la intenderei non come etichetta ma come definizione, quella che abbiamo già sviscerato in altri contesti: un romanzo ambientato prima della nascita del suo autore. Abbiamo osservato anche al telefono come pressoché nessuno abbia definito il romanzo vincitore dello Strega 2009 per quello che è: un romanzo storico. Ma Scarpa non è “un autore di genere”… quindi a lui le etichette non si confanno.

    8. @luca
      mo’ mi sa che un po’ di “sorellanza” e di orticaria non te li toglie nessuno…
      diciamo che gli stereotipi fanno comodo, sempre, a tutti. diciamo che gli uomini hanno confezionato le etichette e le donne se le sono cucite addosso.
      una donna può anche non essere madre o moglie e non per questo essere meno donna. anche questo dovrebbe essere un mito da sfatare: che la femminilità coincida con la maternità. è una “coercizione”, mentale, morale e soprattutto sociale. è quello che ti fa sentire meno donna solo perchè a 40 anni non hai ancora partorito, e magari prima non ne avevi nessuna voglia, però a quell’età… tutti te lo chiedono, i modelli, la società e pure il mercato.
      e poi arriviamo alle aberrazioni di volere essere madre a tutti i costi, altro che orologio biologico. Ovviamente non sto dicendo che è così per tutti, molte donne sono madri e felici di esserlo, però non deve in alcun modo diventare un obbligo.

      @ rita
      allora mettiamola così: ci sono libri belli e libri brutti. queste sono le uniche due categorie che secondo me hanno un senso.
      scarpa non rientra nel genere “romanzo storico”… allora in quale categoria rientra?
      :-)))))
      ciao!!!

    9. Volevo fare i miei complimenti all’autrice del romanzo, che leggerò senza alcun dubbio, e non solo perchè la storia mi sembra molto interessante ma anche perchè lei (sia dall’intervista sia dai commenti) si rivela come una persona intelligente, spiritosa e alla mano.

    10. ma grazie, cara bizzarra vivida! (‘sto nome è fichissimo..)
      poi mi fai sapere, allora. sai com’è, scavando si diventa “alla mano” per forza… perchè ti vengono pure i calli! e coi calli alle mani, non è che te la puoi tirare più di tanto… :-)))
      ciao e buona lettura.

    11. Sì, però resta il fatto che le donne hanno meno cromosomi nel cervello, e per forza di cose sono penalizzate rispetto agli uomini. Questa è scienza, mica opinioni.

      Salvo Zappulla

    12. Me ne stavo andando a nanna, ma qui tocca rispondere al volo… o Salvooooooooo!!!! Guarda che chi non ti conosce come arguto provocatore potrebbe anche pensare che stai parlando sul seriooooo!!!

      Grazie a Bizzarra per aver riportato in tema il romanzo di Giorgia. Se avessi saputo che la discussione avrebbe preso questa piega, non gliel’avrei fatta quell’ultima domanda…

      Buonanotte ai cari cromosomi.

    13. Buongiorno, cari cromosomi
      @sorellanza (Rita + Giorgia): riguardo a Madame Curie volevo solo sottolineare come alcuni, tra i personaggi maschili e femminili più interessanti (nella realtà storica e nella Letteratura), siano proprio quelli in grado di accettare e nello stesso tempo rompere gli stereotipi creati dalla società (essere madre e moglie e nello stesso tempo scienziata). Lungi da me pensare che femminilità coincida con maternità.

      In ogni caso vedo che il romanzo di Giorgia e la relativa intervista hanno catalizzato un notevole interesse.
      Un caro saluto e a presto,
      Luca

    14. Il romanzo di Rita e quello di Giorgia sono tra i più belli in assoluto che mi siano capitati di leggere negli ultimi anni, soprattutto i personaggi principali mi hanno colpito. Incantevole Maria Stella Chiappini. mistico Giuliano. (Non lo dico per fare sviolinate, le due autrice sanno già quanto mi sono antipatiche) Giuliano è di uno spessore tale, di una forza così prorompente da renderlo unico nel suo genere. Un uomo programmato per diventare macchina da guerra. Nel regno di Bisanzio non è concesso trasgredire gli ordini dell’Imperatore. E se quell’Imperatore è tuo padre, la devozione alla causa deve essere totale. Ma Giuliano è un uomo di pensiero, oltre che d’azione, e sa volgere lo sguardo verso l’alto alla ricerca di una Guida che sappia trasmettergli valori ben più nobili delle guerre, le terre da conquistare, nemici da decapitare. Non se la sente di sterminare un intero popolo e fa la sua scelta: coraggiosa, determinata, irrimediabile. Giorgia Lepore racconta una storia di grande valore spirituale, intensa, commovente, drammatica. Un romanzo storico molto sui generis. Una favola piuttosto, una favola di quelle che i grandi vogliono sentirsi raccontare, per poter sperare che le cose belle nel corso della Storia siano accadute veramente e possono accadere anche nel futuro. Giuliano è un eroe, capace di grandi riflessioni e grandi azioni. Si carica sulle spalle le miserie dell’umanità intera, non si arrende mai e quando sente di traballare ricorre alla sua profonda fede. Incarna quanto di meglio possa esprimere un uomo, spinge all’emulazione, al desiderio di ricongiungersi con Dio. Anche gli altri personaggi che ruotano attorno a lui sono destinati a lasciare il segno. Tutta la storia regge, si dipana senza sosta alcuna, intriga, coinvolge, appassiona. A un certo punto la narrazione procede a due voci e qui Giorgia ha dato il meglio di se stessa. L’una fa da sostegno all’altra, un duetto di irresistibile coralità, due echi che si richiamano, si inseguono, si cercano regalandoci pagine di splendida letteratura.

      Salvo Zappulla

    15. grazie, salvo…
      ti sei fatto perdonare i cromosomi… 🙂
      che se pure fossero di meno, certamente funzionano molto meglio!

      @luca
      diciamo che ti sei salvato in corner…
      la verità è una: essere donna è sempre molto complicato. ora come in passato.
      sarà per questo che narrando al maschile ho scelto un personaggio tanto complicato? e inevitabilmente con dei lati femminili, forse.
      però mi piacerebbe sapere dai lettori uomini se la scommessa di rendere un personaggio al maschile è riuscita. Alcune conferme le ho già avute, però sono sempre benvenute eventuali altre opinioni in merito.

    16. Sondaggio? Oh, no… temo che i risultati mi procurerebbero un travaso di bile. 😉

      Colgo l’occasione per ringraziare a mia volta Salvo del suo splendido intervento: si sentiva il bisogno di una descrizione del tuo romanzo fatta con cognizione critica.

    17. Ho letto l’estratto del romanzo e l’ho trovato appassionante e coinvolgente. Comprerò certamente il libro

    18. Condivido pienamente il suo punto di vista. Buona idea, sono d’accordo con lei.
      E ‘vero! Credo che sia una buona idea. Sono d’accordo con te.

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