Cinque domande a Ugo Barbàra

Parla l’autore di In terra consacrata, edito da Piemme

Ugo Barbàra è nato a Palermo e vive a Roma, dove lavora come giornalista presso l’AGI, nella redazione esteri. E’ autore di quattro romanzi, tutti pubblicati da Piemme: Desidero informarla che le abbiamo trovato un cuore, La notte dei sospetti (premio Scalea 2001), Il corruttore (finalista al premio Scerbanenco 2008), e il recente In terra consacrata, candidato al premio Strega 2009, vincitore del premio Alziator e candidato al premio Scerbanenco, che verrà assegnato tra breve nell’ambito di Courmayeur Noir in Festival.

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1. Il tuo romanzo è ispirato a un mistero della storia italiana recente: la scomparsa di Emanuela Orlandi. Perché hai deciso di elaborare un’opera di finzione su questa vicenda e non un libro-inchiesta?

L’idea è nata da uno scoop di una collega dell’Agi, Rosa Polito. E’ stata lei la prima a scrivere delle novità nell’inchiesta, ossia delle rivelazioni di Sabrina Minardi sulla sorte della Orlandi. Leggere l’articolo che aveva scritto è stato come un colpo di fulmine; era pieno di suggestioni narrative e raccontare quella storia in una forma che non fosse solo cronachistica mi è sembrato un imperativo. Quando ne abbiamo parlato e Rosa mi ha raccontato altri dettagli che non aveva inserito nell’articolo perché erano giornalisticamente irrilevanti non ho avuto più dubbi: era una storia da raccontare. Inoltre negli anni sono stati pubblicati diversi libri-inchiesta sul caso Orlandi. Quello che a me interessava era provare a dedurre una soluzione da una vicenda così intricata. E quello della finzione narrativa – quella che oggi va sotto il nome di New italian epic – era l’unico strumento a disposizione.

2. Tu sei giornalista e scrittore. Qual è la fondamentale differenza di approccio tra i due tipi di scrittura? L’uno e l’altro si integrano o possono cozzare?

Al premio Alziator, durante una chiacchierata, una saggista e giornalista iraniana non poteva credere che io fossi scrittore e giornalista d’agenzia. Secondo lei nulla può essere più distante dalla scrittura narrativa della scrittura d’agenzia. E in parte è vero: l’agenzia ti impone una velocità di elaborazione che non lascia spazio alla cura della forma. Ma le cose stanno cambiando: ai giornalisti d’agenzia non si chiede più di mettere un dispaccio a disposizione dei cugini più nobili dei quotidiani. Grazie a Internet il destinatario finale non è solo un addetto ai lavori, ma il lettore. Quindi oggi ci viene chiesta, insieme alla tempestività, anche la cura della forma. In questo senso l’essere uno scrittore mi ha permesso di adattarmi più rapidamente. Inoltre, essendo forgiato dalla confusione della redazione, quando scrivo fiction riesco a concentrarmi anche se mio figlio suona la chitarra elettrica e mia figlia mi chiede suggerimenti per una ricerca.

3. I personaggi di In terra consacrata sono tutti ispirati a persone realmente esistite?

Tutti tranne due che sono inventati. C’è stato un intenso dibattito: usare i nomi reali in una vicenda che in parte sarebbe stata di finzione ci avrebbe esposti alle querele (o peggio). Inoltre c’era la necessità di rispettare quella sospensione della realtà che si pattuisce con il lettore nelle prime pagine di un romanzo. Mischiare nomi inventati e nomi reali avrebbe creato confusione. Ma chi conosce un po’ la storia di quegli anni sa dare un nome a ogni personaggio.

4. Quanto sono durate le tue ricerche e come si sono svolte?

Il via libera dell’editore è arrivato a settembre e il romanzo è stato consegnato a febbraio. Per me si tratta di un record se consideri che nel frattempo ho continuato a lavorare, ad andare in missione all’estero, a insegnare alla Sapienza… Non ci sarei riuscito se non avessi potuto contare sul preziosissimo lavoro di Rosa Polito che mi ha messo a disposizione materiale straordinario, frutto di un intenso lavoro di ricerca. Lei stanava le informazioni e io le trasformavo in racconto. Abbiamo creato un bellissimo rapporto, anche molto conflittuale, ma intensamente creativo. Inoltre lei ha rivoltato il romanzo come un calzino alla ricerca di incongruenze e per far sì che tutto filasse alla perfezione. Credo di poter dire che ha fatto un ottimo lavoro.

5. Il tuo romanzo è stato candidato al premio Strega. Che cosa pensi delle dichiarazioni rese da Andrea de Carlo in merito alla falsità di questo premio, nel quale “la vittoria di un romanzo non dipende dai suoi meriti, ma da un patto di spartizione tra i principali gruppi editoriali” che porta a raccogliere e spostare i voti dei giurati “come in una grande partita di dama”?

Andrea De Carlo ha perfettamente ragione, ma non credo che abbia svelato chissà quale segreto. Chiunque conosca un po’ il mondo editoriale sa che lo Strega funziona così, ma bisogna riconoscere che non è mai successo che un libro veramente brutto arrivasse alla vittoria. Prova ne è stata l’edizione 2009, in cui il favorito politico è stato battuto anche se per un solo voto. Non so se la vittoria di Scarpa sia frutto della qualità di Stabat Mater, di una dimostrazione di potenza della Mondatori o di un rigurgito di orgoglio di alcuni giurati che si sono rifiutati di premiare un libro mediocre. Il vero responso lo dà il mercato: se il libro che vince è buono scala la classifica e resta abbarbicato alle vetta per un bel po’. Se non lo è fa solo una breve comparsata nei piani alti e poi torna docilmente nel dimenticatoio.

 

About

Questo è il sito di Rita Charbonnier, autrice dei romanzi Figlia del cuore (di prossima uscita per Marcos y Marcos), La sorella di Mozart (Corbaccio 2006, Piemme Bestseller 2011), La strana giornata di Alexandre Dumas e Le due vite di Elsa (Piemme 2009 e 2011). Scopri di più...

    4 commenti su “Cinque domande a Ugo Barbàra

    1. bel post. argomento stimolante e molto… scottante. certe volte la finzione narrativa può aiutare a scavare nella realtà quanto le inchieste giornalistiche. la condizione per entrambe credo sia la stessa: l’onestà intellettuale.
      un saluto

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