Dalla Scuola di Teatro dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico alla serie televisiva Agrodolce, il rapporto con l’isola di un’apolide. Un rapporto di appartenenza
Articolo uscito sul fascicolo annuale Pentèlite 2009. Lo riporto qui per gentile concessione del curatore, Salvo Zappulla.

…e dagli antichi è detta
Per nome Ortigia. A quest’isola è fama,
Che per le vie sotto al mare il greco Alfeo
Vien da Doride intatto, infin d’Arcadia
Per bocca d’Aretusa a mescolarsi
Con l’onde di Sicilia.
(Virgilio, Eneide, III, trad. Annibal Caro)
Sono passati vent’anni da quando ho messo piede in Sicilia per la prima volta. Nata a Vicenza, ma solo perché in quel periodo i miei genitori si trovavano lì, fino ad allora avevo vissuto a Roma, Matera e Mantova. Avevo superato le selezioni di ammissione alla Scuola di Teatro Classico dell’INDA di Siracusa e per me iniziava una straordinaria esperienza formativa.
L’idea che mi ero fatta dell’isola di Ortigia era piuttosto una farneticazione; me l’avevano descritta come una goccia di terra collegata alla città da un ponte che io, chissà perché, avevo trasformato con l’immaginazione in un ponte levatoio. Giovane, sprovveduta e incline a fantasie bizzarre, ero convinta di trovare un luogo verdeggiante e selvaggio, con un paesaggio da savana. L’impatto con la realtà fu ben più emozionante.
Presi ad aggirarmi tra edifici barocchi e pietre millenarie, assaporando gli echi di una civiltà raffinata e antichissima e ritrovando nella memoria i miti che quella civiltà ha prodotto. Miti che, come sappiamo, obbediscono anche al bisogno umano di dare una spiegazione agli incontrollabili fenomeni della natura; e così una fonte d’acqua dolce, vicinissima al mare, diviene una ninfa sfuggita alle attenzioni di un dio troppo audace. Quella ninfa era lì, davanti a me, pacificata. Feci il bagno in mare nei pressi e rimasi stupefatta nel percepire le correnti fredde che premevano dal basso. Ripensai alla storia di Aretusa come a una bellissima metafora della trasformazione che due amanti devono subire individualmente, prima di diventare una coppia.
Al vertice dell’INDA c’era ancora il professor Giusto Monaco, studioso eccelso e uomo eccezionale. Si diceva fosse in grado di recitare a memoria, in greco antico, tutte le tragedie classiche giunte fino a noi; e naturalmente di disquisire sui loro significati. Era circondato da un’aura naturale di rispetto. Non lo chiedeva; gli era dato, non c’erano alternative. Dall’alto della sua grande cultura, mai esibita, sovrintendeva alle umanità scomposte dei teatranti, o aspiranti tali, con signorile discrezione.
Recitare al Teatro Greco dona un’emozione irripetibile. L’inizio delle rappresentazioni alla luce del giorno fa sì che l’interprete riesca a distinguere uno ad uno gli individui che affollano la platea, anche se immensa: basta posarvi per un attimo lo sguardo. In quel caso, così speciale, gli spettatori sono individui, non un tutto unico acquattato nell’ombra di una sala al chiuso. L’esperienza degli spettacoli a Siracusa, nel suo complesso e per ognuno di noi, costituì uno straordinario appagamento delle emozioni e dei sensi. Diversi attori che ho conosciuto lavoravano con varie compagnie durante l’inverno e in primavera facevano carte false per essere ammessi a recitare negli spettacoli estivi dell’INDA. Uno di questi, che di norma esibiva un’aria d’uomo tutto d’un pezzo, mi raccontò di aver pianto sul traghetto di ritorno, alla fine dell’esperienza: non riusciva a rassegnarsi all’idea che fosse davvero finita.
E invece finiva per tutti, e finì anche per me. Dopo la scuola di teatro, e la partecipazione alle rappresentazioni classiche, iniziai a lavorare con una compagnia di Genova. Però ebbi occasione di tornare in Sicilia: recitai un paio di volte nella favolosa Segesta e visitai il tempio in cima alla collina, attorno al quale sembra volino ancora le colombe care ad Afrodite; passai da Palermo nel corso di una tournée (e in una sola settimana ingrassai di quattro chili, incapace di resistere alle delizie gastronomiche).
In tempi più recenti la Sicilia è rientrata nella mia vita, a conferma del fatto che il mio rapporto con questa terra non si è mai estinto. Dopo quindici anni di carriera in teatro, avevo impresso una virata alle mie energie creative e mi ero dedicata alla scrittura. Il mio primo romanzo (La sorella di Mozart) era stato pubblicato e stavo lavorando al secondo (La strana giornata di Alexandre Dumas); inoltre elaboravo sceneggiature per Rai e per Mediaset. D’improvviso mi chiamarono a scrivere Agrodolce: una serie televisiva ambientata nell’immaginario paese costiero di “Lumèra”. In verità i produttori cercavano sceneggiatori siciliani; la permanenza giovanile nell’isola dovette giocare a mio vantaggio.
La serie, voluta da Giovanni Minoli e prodotta dalla Einstein Multimedia, si è avvalsa della consulenza di Roberto Alajmo per le storie e i dialoghi, e di un gruppo di lavoro di ottimi autori. È stata trasmessa su RAI 3 con risultati di ascolto e gradimento più che soddisfacenti, per poi arenarsi su questioni economiche e burocratiche incomprensibili ai più. Al momento in cui scrivo non si sa se ci sarà una ripresa; tutti speriamo in un miracolo dell’ultimo minuto. Se il miracolo non dovesse verificarsi, sarebbe una disdetta per le centinaia di persone che perderebbero il lavoro, in Sicilia e altrove, e anche per le storie finora narrate — poiché la cosiddetta “lunghissima serialità” è concepita per non fermarsi mai. Gli archi narrativi durano mesi, anni, persino decenni, come nella vita.
Qualunque cosa accadrà, tuttavia, io sono certa che l’arco del mio rapporto d’amore con la Sicilia non si interromperà. Potrà al massimo subire una nuova metamorfosi: come per Aretusa.
La fiction RAI Agrodolce, voluta da Giovanni Minoli e prodotta dalla Einstein Multimedia con fondi della Regione Sicilia, non gode — in effetti — di buona salute. Per incomprensibili cavilli formali (bracci di ferro tra poteri) una realtà che dava lavoro a centinaia di persone, in Sicilia e altrove, e che aveva rivitalizzato una zona depressa, rischia di creare uno stuolo di neo-disoccupati.
Aggiornamento: su Agrodolce, vedi quest’altra pagina.
Carissima Rita, mi mette addosso tanta tristezza questo post. Leggere ancora che alla Sicilia sono legati progetti falliti, posti di lavoro a rischio, mi ricorda che gattopardoscamente nulla cambierà mai.Sembra che in questa terra non ci sia spazio per i sogni, tutto sembra imbrigliato, tutto sembra dover passare attraverso la gestione clientelare della malapolitica e del malaffare. Abbiamo il mare, il sole, la buona cucina (tu stessa asserisci di essere ingrassata 20 chili nel tuo periodo di permanenza nella nostra terra)ma manca tutto il resto. C’è ancora una questione meridionale da risolvere. Da noi è sempre emergenza rossa: la mancanza di lavoro, di infrastrutture; e la criminalità organizzata, e l’Etna che erutta, la peste suina, quella bovina; il fuoco di Sant’Antonio, il torcicollo dei politici, che li fa andare sempre nella direzione sbagliata. Insomma, non si riesce a programmare un piano di sviluppo economico serio e lungimirante. I fondi UE: un fiume di miliardi dilapidato in corsi di formazione inutili, casolari ristrutturati per attivare improbabili agriturismi e opere incompiute. Insomma un casino! Io spero che il tuo rapporto con la Sicilia non si esaurisca, sei troppo intelligente per lasciarti scappare. Da parte mia, cerco solidi ancoraggi per trattenerti. Diamo la notizia in anteprima: Da Dicembre Rita Charbonnier collaborerà alle pagine culturali de “La voce dell’Isola” quindicinale siciliano di cui sono responsabile per le pagine della cultura. Questo lo considero un onore di cui Rita ha voluto gratificarmi.
Salvo Zappulla.
Ciao Rita!
Grazie di questo articolo così accorato e pieno di autentica passione per il mito, la tragedia, per la nostra Siracusa…
Maria Lucia Riccioli
Ecco, la Riccioli, per esempio, è una delle sventure peggiori che ci portiamo dietro, alla pari della siccità e della carestia.
Salvo Zappulla
Povera Maria Lucia!
Non è vero niente!
E sei tu il primo a stimarla e volerle bene!!!
Parlando seriamente, caro Salvo, grazie per il tuo primo commento e grazie di aver reso pubblica la mia prossima collaborazione con “La voce dell’isola”.