Cinque domande a Elisabetta Bucciarelli

Parla l’autrice di Io ti perdono, Colorado Noir / Kowalski

Elisabetta Bucciarelli è nata e vive a Milano, dove si è diplomata in drammaturgia presso il Laboratorio di Scrittura Drammaturgica del Piccolo Teatro. Lavora per Booksweb.tv, canale televisivo culturale on line. Ha scritto testi teatrali, saggi, racconti e i romanzi Happy Hour (Mursia), Dalla parte del torto (Mursia, selezionato per il Premio Scerbanenco 2007 e finalista al Premio Azzeccagarbugli come miglior romanzo poliziesco del 2008), Femmina de luxe (Perdisa Pop, Bloody Mary Award 2008 assegnato da Thriller Café) e il più recente Io ti perdono (Colorado noir/Kowalski), finalista al premio Scerbanenco 2009, menzione speciale della giuria “per l’originalità della scrittura e l’analisi psicologica”.

Il romanzo di Elisabetta Bucciarelli

1. Il tuo romanzo è un noir incentrato su un caso di bambini scomparsi sul quale indaga l’ispettrice Maria Dolores Vergani, che abbiamo già conosciuto nei tuoi libri precedenti. Quale esigenza ti ha portata a scrivere questa nuova storia?

Io ti perdono nasce da una domanda: come (e se) sia possibile sopravvivere a un dolore tremendo quale la morte di una persona amata o la perdita di un figlio. L’unica risposta possibile mi sembrava poter essere il perdono. Religioso per chi ha il dono della fede. Laico, per chi ha seguito percorsi differenti. Non ho mai avuto fascinazioni per assassini o delinquenti, mi interessano le vittime e, soprattutto, i sopravvissuti. Il loro lamento, le loro parole, le difficoltà, le paure di chi resta. Per questo mi sono immaginata un perdono impossibile, nei confronti di chi osa toccare i bambini. Una possibilità di redenzione che solo il segreto del confessionale può concedere, ma fuori da lì perdonare o meno è una partita da giocare con la propria coscienza. Bambini reali ma anche infanzia come metafora di un’arcadia dei sentimenti che abbiamo perduto. La capacità di fidarci del prossimo e di lasciarci andare alle emozioni. La insensata volontà di annientare tutto ciò che di buono ci viene proposto e offerto dalle relazioni affettive.

2. Come è cambiata, nel tempo, la relazione della scrittrice Elisabetta Bucciarelli con il suo personaggio, Maria Dolores Vergani? Ci sono dei momenti nei quali interloquisci con lei e ti sembra magari di non essere d’accordo con lei?

Maria Dolores Vergani è un personaggio resistente ai miei stessi attacchi. Ho per lei una fascinazione reale ma anche un’insofferenza data dalla lunga frequentazione e dalla presenza continua e costante in quasi tutte le mie scritture. Spesso non sono d’accordo con la Vergani, la metto in discussione dentro e fuori la pagina dei libri. Ma lei è meglio di come vorrei raccontarla, quindi mi stupisce, resiste, combatte, e senza eccedere, trasgredire o fare finta di essere un uomo, riesce a mantenere un equilibrio, incassa bene le sconfitte, e segue strade impreviste. Non ha una grande dimestichezza con le emozioni, ma la vita la sta obbligando a fare i conti con la perdita, l’abbandono o la follia propria dell’innamoramento. Forse, come sostiene lei da ex psicologa, a volte alcune circostanze traumatiche della vita, ti aiutano a vedere chiaro, a smussare gli spigoli, a cambiare parti del carattere. Per lei, almeno, funziona così.

3. Potresti darci una tua definizione del genere “noir” e motivarcela?

Sono convinta che il Noir sia un genere ben regolamentato. Non l’indagine dell’ispettore/ commissario/ detective alla ricerca del colpevole e del come ha fatto. Ma la risposta alla domanda più difficile: perché l’ha fatto? Il movente, non tanto quello meccanico, ma il più sottile, psicologico, esistenziale. Ancora, penso che il Noir sia composto da precise atmosfere e sapori, la malinconia legata ai luoghi, alle espressioni, alle musiche. La dolente figura della vittima, che non c’è ma è sempre presente. La sensazione di sconfitta, l’assenza di consolazione e di conforto. Il racconto di uno spaccato sociale, con le sue tematiche, i punti di forza e soprattutto, le debolezze. I margini. I bordi che non guarda nessuno. Piccole epiche quotidiane disperate. E la contemporaneità degli eventi. Il Noir è qui e ora, con incursioni nel passato ma solo come profondità di campo. La storia che tiene insieme tutto questo, spesso può non essere di investigazione. Esagerando direi che il miglior Noir che ho letto quest’anno è Emmaus, di Alessandro Baricco (Feltrinelli). Molte vittime, ma di chi? E perché? In nome di cosa? Mi sono chiesta chi siano gli assassini e chi i mandanti. Ho seguito le vicende aderendo alle motivazioni che le hanno mosse. Il ritratto pieno di pietà e allo stesso tempo spietato, di una società e delle persone che la abitano. Senza consolazione nemmeno quando si parla di fede. Questo per affermare che Noir non significa sangue, pioggia battente, sobborghi e periferie, sigari che bruciano tra le labbra e impermeabili che si muovono in provincia o nelle metropoli. E’ anche uno stato (si spera transitorio) dell’anima e degli occhi che guardano, sia di chi scrive che dei suoi personaggi.

4. Credi che l’attività di una scrittrice si differenzi in qualche modo dall’attività di uno scrittore? Esiste una “scrittura femminile”, secondo Elisabetta Bucciarelli?

Sì, credo esista una profonda differenza, non già nel risultato o nello stile, ma nella predisposizione a raccontare. Quando scrivere non è solo intrattenere, diventa quasi un gesto volto a restituire qualcosa. Non so cosa di preciso, ma una forma di comprensione. Una cura che si ha nel dire, in modo brutale o attento, come stanno davvero le cose. Soprattutto nel Noir, penso a Fred Vargas o a Dominique Manotti, ma a anche alla Marklund, non si scrive a vanvera. Non per il proprio indubbio narcisismo. Ma si indaga la vita insieme alla storia. C’è un’etica, mi pare di poter dire, legata a questo mestiere, un’onestà intellettuale che le donne rispettano quasi sempre. In questo momento mi piace pensare che sia così.

5. Che rapporto hai con i premi letterari, e come hai vissuto l’esperienza dello Scerbanenco nello scorso dicembre?

Nel 2009 sono stata finalista a tre premi letterari [oltre allo Scerbanenco, il Premio Mediterraneo del Giallo e del Noir, e l’Azzeccagarbugli per Femmina de luxe, ndr]. L’emozione di essere tra i libri prescelti dell’anno è certo piacevole. La prendo come una conferma. Così è stato anche al premio Scerbanenco. Una giuria di autorevoli esperti ha reputato Io ti perdono un buon libro e gli ha conferito una menzione speciale. E’ uno tra i segni che mi aiutano a pensare di poter continuare a fare questo lavoro.

About

Questo è il sito di Rita Charbonnier, autrice dei romanzi Figlia del cuore (di prossima uscita per Marcos y Marcos), La sorella di Mozart (Corbaccio 2006, Piemme Bestseller 2011), La strana giornata di Alexandre Dumas e Le due vite di Elsa (Piemme 2009 e 2011). Scopri di più...

    11 commenti su “Cinque domande a Elisabetta Bucciarelli

    1. Mi sembra di capire che un argomento importante del libro sia l’elaborazione del lutto. Allora avrei una domanda per l’autrice-nella speranza che possarispondere. Che significato attribuisce alla parola “depressione”?

    2. cara/caro Ali,
      Io ti perdono lascia i suoi personaggi principali in un limbo che assomiglia molto alla depressione. Se per depressione intendiamo una patologia che ha, tra i suoi sintomi, l’ossessività, il dolore profondo, e l’incapacità di reagire (dicono: futurizzare, certi medici). Ma la depressione che lascia morire, quella che non ti permette di volerti bene ma annulla totalmente la volontà e l’amor proprio, deve ancora arrivare. Spesso è una fuga, altre volte una reazione legittima. Altre volte ancora è la frustrazione potente del non saper o poter reagire. Insomma, questo per dirle, che nel libro non troverà il buio totale e l’incapacità di muoversi, ma il contrario. La speranza di poter sbloccare le cose con la volontà. Come sappiamo, non è sempre possibile. Rendersi conto di questo significa anche crescere di un pezzetto.
      Buon anno, per il momento.
      e grazie
      Elisabetta

    3. Complimenti a Elisabetta per le risposte sempre competenti ed estremamente professionali. Mi è già capitato di seguirla in altri blog. E complimenti a Rita per la qualità degli scrittori che presenta. Questo sito sta diventando il mio preferito.

      Salvo zappulla

    4. Salutare? Una volta ho fatto arrabbiare la signora Charbonnier…se ci penso mi vengono ancora i brividi.

      Salvo Zappulla

    5. Complimenti a Rita per l’intervista, e a Elisabetta per le belle risposte.
      Ho apprezzato in particolare la definizione del genere Noir, troppo spesso confuso con il più classico giallo. Concordo sul fatto che il NOir debba richiedere una particolare attitudine, quasi una vena crepuscolare, nello scrittore e, per essere pienamente percepito, anche nel lettore.
      Un caro saluto e a presto
      Luca

    6. Grazie Luca,
      definire il Noir non è affatto semplice. Invito a diffidare sempre dalle semplificazioni di comodo che fanno gli editori, (spesso in buona fede o nel tentativo di spingere gli autori). Spesso una storiella gialla è definita noir, viceversa un noir viene chiamato giallo. E così si alimenta la sfiducia del lettore che non trova quello che cera e si arrabbia. Giustamente, anche.
      un abbraccio e buona anno
      Elisabetta

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