Parla l’autore de L’arte di annacarsi. Un viaggio in Sicilia, edito da Laterza
Roberto Alajmo non è, naturalmente, soltanto l’autore di quest’ultima opera — uscita da poco più di un mese e già alla terza edizione. Sono stati finora pubblicati sedici suoi libri, alcuni dei quali dedicati alla città siciliana nella quale lo scrittore è nato e vive: Repertorio dei pazzi della città di Palermo (Garzanti, 1994), Nuovo repertorio dei pazzi della città di Palermo (Mondadori, 2004), Palermo è una cipolla (Laterza, 2005). Ricordo inoltre i romanzi Cuore di madre (Mondadori, 2003, secondo classificato al premio Strega, premio Selezione Campiello, premio Verga, premio Palmi), È stato il figlio (Mondadori 2005, premio SuperVittorini, premio SuperComisso, premio Dessì, finalista al premio Viareggio) e il più recente La mossa del matto affogato (Mondadori 2008, premio Pisa).

Vorrei ricordare infine un libro di Roberto Alajmo che ho amato particolarmente: Notizia del disastro (Garzanti, 2001). Ricostruisce, dal punto di vista degli uomini e delle donne che lo hanno vissuto, il gravissimo incidente aereo avvenuto la notte del 23 dicembre 1978, quando un DC9 in volo da Roma a Palermo si schiantò in mare a poche centinaia di metri dalla pista di Punta Raisi (oggi aeroporto “Falcone e Borsellino”). E’ un racconto assai potente della fragilità dell’esistenza, e dell’insensatezza di tale fragilità, senza indulgenze sentimentali; anzi, l’apparente neutralità del tono utilizzato dall’autore lo rende ancor più intenso.
1. Grazie, Roberto Alajmo, per questa intervista a proposito del tuo L’arte di annacarsi. In primo luogo ti chiederei: che cosa significa “annacarsi”?
Tecnicamente il verbo sta a significare il massimo del movimento col minimo dello spostamento. E’ il movimento del bambino nella culla, dei fianchi della donna quando cammina accentuando l’andatura, della statua del santo durante le processioni. E’, in senso lato, dare la sensazione di una vivacità che nei fatti non esiste. La Sicilia, si annaca. Si annaca chi vuol perdere tempo. E lo stesso verbo – annàcati, all’imperativo – vuol dire sbrigati. In un certo senso si annaca anche il verbo annacarsi, che vuol dire una cosa e l’esatto contrario.
2. Perché hai scritto questo nuovo libro? Da quale esigenza fondamentale è scaturito?
Vorrei poter dire che è sgorgato dal cuore come un fiotto di ispirazione. Ma sarò onesto: era una committenza precisa dell’editore Laterza, di Giuseppe Laterza, in particolare. Ma si vede che mi serviva quel colpo di manovella iniziale, perché poi il libro l’ho scritto davvero in preda a una specie di entusiasmo. Era tutta roba che mi portavo dentro, sulla quale avevo riflettuto anche pubblicamente. Tutto questo materiale è schizzato fuori come lava, e la maggior parte del lavoro non è stato realizzare il viaggio, raccogliere i materiali, scrivere: è stato mettere ordine nel caos.
3. Tu ti sei occupato anche di mafia, in alcuni dei tuoi scritti. In questo libro l’argomento è presente, e come?
E’ una componente del pianeta Sicilia, un ingrediente su cui sarebbe ipocrita sia sorvolare sia calcare la mano per scopi esteriori. Ho cercato di parlare della mafia come qualcosa con cui bisogna fare i conti senza banalizzare. Ho cercato di raccontare i luoghi comuni della mafia e anche quelli dell’antimafia, che fra le persone perbene fanno pure il loro danno.
4. Dicci perché chi di noi non ha mai visitato Palermo, la città nella quale vivi, dovrebbe farlo.
Perché un visitatore sa di potere e dovere ripartire, alla fine della vacanza. Perché sul breve periodo è la città più affascinante al mondo. Un’avventura indimenticabile. Ma appunto: un’avventura. E’ una città che non sa mantenere le promesse. E’ bugiarda e sa essere molto crudele, quando viene scoperta nella sua essenza.
5. Tu scrivi sia opere di finzione, sia opere che (come questa) raccontano aspetti della vita nel tuo modo personalissimo, pragmatico, ironico. Quando scrivi, in cosa sostanzialmente differisce il tuo approccio all’uno e all’altro genere?
In realtà più passa il tempo più mi sento attratto da questo secondo genere di libri, a metà strada fra narrazione e saggistica. E’ un genere che possiamo definire “racconto-ragionamento”. Gli esempi stranieri sono A sangue freddo di Truman Capote o più recentemente L’avversario di Emmanuel Carrère. In Italia sono libri come La scomparsa di Majorana quelli che mi sono mancati da quando Sciascia non c’è più. E ognuno scrive i libri che vorrebbe leggere. Sempre più, di recente, quando mi capita fra le mani un romanzo-romanzo, dopo un po’ mi annoio e penso alla tesi di Cioran, secondo il quale ci sono già troppe cose nella vita per concedersi il lusso di inventarne delle altre.
Ho letto alcuni libri di Alajmo e mi sono piaciuti moltissimo.Soprattutto, devo dire, quelli del “secondo genere”…
Se tra questi non c’è “Notizia del disastro”, ancora una volta, te lo consiglio. 🙂