«Nannerl, la sorella di Mozart». Un film di René Féret. E basta

Il film non è basato sul mio romanzo La sorella di Mozart. Il personaggio storico è lo stesso, ma la storia è diversa

Un giorno di alcuni anni fa, la scrittrice americana Stephanie Cowell (autrice a sua volta di un romanzo che ruota attorno alla famiglia Mozart, pubblicato in Italia con il titolo Il matrimonio delle sorelle Weber) mi inviò un messaggio nel quale mi chiedeva se un film francese incentrato sulla figura della sorella di Wolfgang Amadeus Mozart fosse basato sul mio romanzo La sorella di Mozart.

Nannerl la sorella di Mozart | La locandina

Al tempo il film non era stato ultimato e né lei, né altri, l’avevano ancora visto, quindi la domanda era lecita. La risposta, comunque, è no: film e romanzo sono opere del tutto indipendenti. Naturalmente si occupano dello stesso personaggio storico: Maria Anna Mozart (1751-1829), detta “Nannerl”, sorella maggiore del più ammirato compositore della storia. Inoltre hanno lo stesso tema di fondo: a una donna non è consentito fare tutto quello che possono fare gli uomini (per esempio, comporre musica). Ma per il resto, in comune c’è solo un dettaglio: la proibizione, che il padre Leopold Mozart fa alla figlia, di suonare il violino. Il film sembra piuttosto ispirato a un grazioso romanzo per ragazzi, della scrittrice canadese Barbara Kathleen Nickel, intitolato The Secret Wish of Nannerl Mozart (che in italiano non è stato pubblicato).

Affermo tutto ciò senza aver visto l’opera cinematografica in questione, che nel momento in cui scrivo queste righe non è uscita nelle sale italiane (mentre è andata in onda diverse volte sui canali televisivi Sky, con il titolo semplificato La sorella di Mozart — il che accresce le possibilità di equivoco). Però ho letto la sceneggiatura, che René Féret è stato così gentile da spedirmi.

L’autore di Nannerl la sorella di Mozart ha tenuto a dirmi che non aveva voluto leggere il mio romanzo (uscito anche in francese) prima di elaborare la sua storia, perché non voleva essere influenzato dalla mia. Confesso che questa affermazione mi ha colpita. Tempo fa ho letto qualcosa di simile nella postfazione a Stabat mater di Tiziano Scarpa: il vincitore dello Strega vi fa un elenco di libri che trattano una vicenda assimilabile alla sua, chiarendo di averli letti solo dopo averla scritta. Posso sbagliare, naturalmente, ma a me sembra che acquisire informazioni su punti di vista diversi induca soprattutto a definire meglio il proprio. Non credo molto nella misteriosa e inconsapevole emersione di influenze esterne; credo piuttosto che rubare sia lecito. L’illecito è copiare.

Nannerl Mozart nella realtà

Per approfondire l’argomento, puoi consultare questa pagina.

La sorella di Mozart | Ritratto autentico

Maria Anna Mozart, detta “Nannerl”, nacque nella notte tra il 30 e il 31 luglio 1751 nella città di Salisburgo, in Austria, al terzo piano di un palazzo che si trova in una piccola strada denominata Getreidegasse (“vicolo delle granaglie”), dove trascorse gli anni dell’infanzia. Molto presto il padre Leopold Mozart, musicista, riconobbe in lei un talento straordinario e la iniziò allo studio del clavicembalo. Insieme ai genitori e al fratellino, l’amato-odiato Wolfgang, Nannerl effettuò diverse tournée in tutta Europa: i piccoli Mozart si esibirono in coppia come bambini prodigio in innumerevoli concerti, nei teatri e presso le corti dei sovrani. Il padre, uomo ambizioso e accorto, comprese che grazie alle doti dei suoi figli avrebbe potuto conquistare fama e ricchezze, e sfruttò l’occasione al meglio.

Ma più tardi, quando Wolfgang e suo padre si recarono in Italia (dove Mozart giovinetto studiò, ascoltò musica, suonò, compose e instaurò relazioni importanti), Nannerl fu lasciata a casa con la madre, a dare lezioni di clavicembalo per sostenere economicamente la famiglia. In quel periodo si evidenziò una stridente disparità di trattamento tra lei e il fratello, che gradualmente compromise il loro rapporto fino a interromperlo del tutto. Finché erano una coppia di bambini prodigio avevano gli stessi diritti e doveri; quando lei divenne una signorina, non era più “spendibile” come fenomeno. Wolfgang, invece, restava fenomenale. Era bassino e sembrava anche più piccolo della sua età. E componeva come un fiume, già in modo mirabile: bisognava investire esclusivamente su di lui.

Nel 1778 la madre dei Mozart morì e nel 1781 Mozart si stabilì definitivamente a Vienna. Nannerl rimase sola con il padre a Salisburgo finché non si sposò e si trasferì nella cittadina di Sankt Gilgen (a sei ore di carrozza dalla città natia). Ebbe tre figli e si prese cura dei figli del marito, che era vedovo, abbandonando del tutto l’attività musicale per quasi vent’anni. Nel frattempo anche Leopold Mozart venne a mancare; tra fratello e sorella, che avevano già molto diradato i contatti epistolari, si crearono dissapori su questioni ereditarie e i loro rapporti si interruppero del tutto.

Ma l’improvvisa morte del fratello fu per Nannerl un colpo durissimo. Tornò a Salisburgo, riprese a dare lezioni di musica e divenne un punto di riferimento per i biografi di Mozart, collaborando anche con studiosi ed editori all’autenticazione delle sue opere. Negli ultimi anni della sua vita divenne cieca e morì a 78 anni nel 1829.

Nannerl Mozart era una vera virtuosa del clavicembalo, come provano numerosi documenti; aveva inoltre la capacità di trascrivere a memoria qualunque musica ascoltasse e alcune lettere di Mozart giovinetto attestano che si cimentò nella composizione (vedi anche questo articolo). Ma la sua carriera musicale – come quella di molte artiste del Settecento e dell’Ottocento – fu fortemente condizionata dal genere.

Nannerl Mozart nel film

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Come sempre accade in questo tipo di narrazioni, il film di René Féret alterna fatti documentati a episodi di fantasia. Si concentra su un solo periodo della vita di Nannerl, durante la sua adolescenza, e in particolare durante la grande tournée musicale che tra il 1763 e il 1766 portò i piccoli Mozart a esibirsi in tutta Europa.

Tra la fine del 1763 e l’inizio del 1764 (Wolfgang aveva 7 anni, Nannerl 12) la famiglia Mozart sostò in Francia. L’autore della sceneggiatura immagina che la giovanissima musicista incontri a Versailles il figlio del re Luigi XV, a sua volta molto giovane, il quale la esorta a comporre musica. Ma Nannerl è una ragazza e le ragazze non hanno il diritto di comporre; quindi lei è costretta a esibirsi en travesti

Nannerl Mozart nel mio romanzo

Be’… leggetelo!

About

Questo è il sito di Rita Charbonnier, autrice dei romanzi Figlia del cuore (di prossima uscita per Marcos y Marcos), La sorella di Mozart (Corbaccio 2006, Piemme Bestseller 2011), La strana giornata di Alexandre Dumas e Le due vite di Elsa (Piemme 2009 e 2011). Scopri di più...

10 commenti su “«Nannerl, la sorella di Mozart». Un film di René Féret. E basta

  1. Quando si scrive un romanzo storico, si parte da un nucleo di informazioni tramandate che appartiene a tutti. E’ come condividere la stessa ispirazione. Ma le situazioni vanno considerate caso per caso. Nel mio, si trattava di un luogo dove sono stato partorito. La mia vita è cominciata lì, nei locali dell’Orfanotrofio della Pietà, che nel frattempo era diventato reparto di ostetricia dell’Ospedale Civile, ed è proseguita fuori da quell’edificio, in famiglia, presso genitori che mi hanno amato. Ai tempi di Vivaldi (e prima, e dopo) invece, i piccoli venivano abbandonati e crescevano lì dentro, catturati da quel posto; alcuni vi rimanevano per sempre. Avevo dunque un fortissimo legame personale con quel luogo, intensamente intimo, le orfane musiciste che vi erano attive per me erano una specie di sorelle dal destino opposto e simmetrico al mio; non volevo che questo mio rapporto venisse sfuocato da fantasie e immaginazioni altrui, di altri romanzieri. Ho invece letto tutto il possibile di storico, documentario, frequentando anche convegni per addetti ai lavori, assistendo a concerti in loco, ecc. Lo ripeto: non c’è una regola generale, non c’è una ricetta o un modo “giusto” per scrivere romanzi storici, e per scrivere in generale. Ogni libro fa storia a sé, anche nell’ideazione e nella stesura. Poi, siamo d’accordo che copiare è illecito. E anche rubare, direi.

    Tiziano Scarpa

  2. Molte grazie a Tiziano Scarpa per l’inatteso e prezioso chiarimento. Forse la differenza tra “rubare” e “copiare” è sottile ed è più evidente se ci riferisce al teatro, piuttosto che alla letteratura. Immagino che se fosse dichiarato illecito nutrirsi di spunti, suggestioni eccetera dal mondo, anche letterario, che ci circonda, non si scriverebbe più nulla… immagino che l’autore esprima la propria origininalità, e fornisca il proprio contributo, nel modo personale nel quale li rielabora e li ricrea.

  3. Sono d’accordo con Rita, è sempre la grandezza dell’autore, la capacità di scrittura, che determinano e rendono personale un’opera letteraria. Penso a Madame Bovary, una storia banalissima, una trama semplicissima ma scritta da Flaubert è diventata un capolavoro.

    Salvo Zappulla

  4. Molte grazie dei complimenti, del collegamento dal vostro bel forum e dell’invito ad approfondire l’argomento di questo post. Purtroppo però non ho ancora visto il film di Féret; ho solo letto la sceneggiatura, che potrebbe anche essere piuttosto diversa dall’opera compiuta. Quindi non saprei proprio come destreggiarmi. Spero di riuscire a vederlo quanto prima. A presto!

  5. Cara Rita, è il verbo “rubare” che mi lascia perplesso, tanto più se contrapposto a “copiare”. Da autore molto attento ai diritti intellettuali altrui (cito sempre o metto riferimenti, facilitato dal fatto che non scrivo romanzi) ma anche ai miei, distinguerei invece tra “plagio” (che è copiare, quindi rubare, intere frasi o capoversi) e “ispirazione” o adesione a una particolare tesi. Facciamo un esempio. Se un nuovo studio accertasse che la sorella di Mozart era in realtà illegittima, e – attenzione – solo l’autore X lo avesse scritto, io saggista, scrivendo un saggio, avrei il dovere morale e l’obbligo giuridico di citarlo; ma tu romanziera come cavolo faresti? A meno di non imitare Manzoni nel suo intermezzo storico-saggistico sulla Colonna infame, non potresti mettere alcun riferimento nel corpo del testo, ma semmai in una nota finale. Per gli storici è normale, ma per un romanzo storico o che si ispira a un personaggio realmente vissuto? Secondo me non sarebbe consentito copiare o rubare in un film o in un libro una tesi unica, particolare, personale, stravagante o frutto di ricerche non ancora di pubblico dominio su cui è stato scritto un libro o articolo. Infatti negli Usa i giudici picchiano duro. Meno ancora ripetere titoli o intere frasi un po’ complesse o interi capoversi. Questo è il plagio più colpito dai giudici oggi, ma non nei tempi Antichi, quando tutti rubavano a man bassa, perfino interi libri, approfittando della incertezza del diritto e della scarsissima circolazione dei libri (a proposito, l’ultimo famosissimo che saccheggiò sistematicamente molti libri sconosciuti e secondari fu D’Annunzio). Invece, una tesi interpretativa, una ipotesi generica, una indiscrezione possibile, una descrizione di carattere, può essere ripresa e fatta propria, secondo me e forse anche secondo il diritto. Questo è forse quello che intendevi per “rubare” in contrapposizione a “copiare”? Ma proprio perché quel particolare di carattere (p.es. l’avarizia e la misoginia d’un noto scomparso attore del cinema) erano dati ormai di comune dominio: vallo a trovare quello che per primo lo aveva detto!

    1. Caro Nico, grazie dell’intervento. So che t’intendi di teatro quindi potresti forse conoscere un’espressione in uso all’interno delle cosiddette compagnie di giro: il giovane attore, osservando giorno dopo giorno la recitazione dell’attore più esperto e consumato, “ruba”. Ovvero, acquisisce e rende proprio tutto ciò che nel consolidato mestiere dell’anziano può essergli utile. Prende spunto, imita e poi assimila, reiventa, impersona, reinterpreta col corpo. Se “copia”, invece, fa male, perché la sua non sarà che una bieca imitazione, e si vedrà. Questa è l’immagine che avevo in mente quando ho scritto il pezzo.
      Nel caso in questione, sono praticamente certa che Féret abbia avuto l’idea di fare questo film perché un giorno in libreria ha visto il mio romanzo (pubblicato in Francia da un grande editore e molto pubblicizzato). La tempistica di uscita del libro e poi del film lo fa pensare; inoltre, il suo dirmi che non lo aveva letto pur sapendo che era uscito, implicitamente lo conferma. Così come intendevo il termine, lui ha “rubato”. E questo è lecito. Non ha “copiato”, perché ha inventato una propria storia sulla stessa figura realmente esistita. Che poi, se il film fosse andato molto bene, ne avrei tratto vantaggi anch’io perché avrei venduto qualche libro in più.

      Riguardo al rapporto tra il saggio che sviluppa una tesi innovativa e l’opera di finzione basata su quella stessa tesi, in linea di principio a me verrebbe da dire che lo storico non dovrebbe avere nulla da pretendere. Sono ambiti diversi, il lavoro dello storico e del romanziere sono diversi e rispondono a bisogni diversi dell’animo umano; i fruitori delle loro opere sono diversi. Ma quando un’opera di finzione vende milioni di copie in tutto il mondo e ne viene tratto un film che sbaraglia ai botteghini, è ovvio che lo storico che ritiene sia ispirata a un proprio saggio “ci provi”. D’altra parte, se non erro, Dan Brown è stato assolto. Proprio perché (cito da qui http://www.cesnur.org/2006/mi_brown_01.htm) i giudici non se la sono sentita di “stabilire un principio che avrebbe impedito a qualunque futuro autore di romanzi di ispirarsi a libri presentati come ‘di storia’ (non di fiction) per le loro trame”.
      O no?

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