Quando una canzone è più famosa di colui che ne ha scritto musica e testo
Nato in tempi remoti, alla fine dell’800, Cole Porter è l’autore di numerose famosissime canzoni americane, pubblicate, interpretate e reinterpretate in tutto il mondo — che dal secolo scorso hanno brillantemente resistito ai cambiamenti del gusto musicale e sono divenute standard del jazz, e oltre, fino a oggi.

Esempio: I’ve got you under my skin, che è stata cantata da Diana Krall e Michael Bublé; oppure Night and Day, che è stata cantata dagli U2. Eppure il nome di Cole Porter, al di fuori delle cerchie di appassionati di musical, in Italia non è molto conosciuto.
(Annotazione personale: alcuni anni fa un amico cantante di musical mi propose di scrivere per lui un recital di canzoni di Cole Porter, che doveva intitolarsi appunto Cole Porter, questo famoso sconosciuto).
C’è da dire che la forza delle sue canzoni è anche nei testi, che scriveva lui, e che sono autentici componimenti poetici, a volte lirici, a volte ironici; ma essendo in inglese, e difficilmente traducibili per via dello stretto legame delle parole con i tempi musicali, per noi sono forse meno fruibili.
Sono stata ospite di due diverse puntate del programma Ridotto dell’Opera di Giorgio Appolonia, in onda sul secondo canale della Radio Svizzera di Lingua Italiana, per parlare di Cole Porter e in particolare del suo musical Kiss me, Kate. È stata una chiacchierata alquanto ridanciana nel corso della quale il conduttore del programma, strettamente dedicato all’opera lirica e al mondo dei “melomani”, si è prestato a condividere argomenti più “leggeri”. Ci sono anche diversi brani musicali. Potete ascoltare le due puntate del programma utilizzando i player qui sotto.
A proposito di Kiss me, Kate di Cole Porter
Questo famoso musical debuttò a Broadway, New York, nel 1948. Le musiche e i testi delle canzoni erano dunque di Cole Porter; la storia e le battute in prosa di Samuel e Bella Spewack, una coppia di coniugi scrittori. Lo spettacolo narra le vicende di due attori ex coniugi, che si trovano a recitare i ruoli di Petruccio e Caterina in una versione musicale de La bisbetica domata di Shakespeare — e litigano furiosamente, come è ovvio. Il tutto prende una piega ancor peggiore quando arrivano alcuni gangster, creditori del produttore dello spettacolo.

Kiss me, Kate fu un successo immediato. A Broadway ebbe oltre 1.000 rappresentazioni, che all’epoca, alla fine degli anni ’40, era un numero molto alto (mentre oggi i musical inglesi e americani di maggior successo superano le 5.000 repliche). Nel 1953 ne fu realizzata una versione cinematografica. Inizialmente i produttori cercarono di convincere Laurence Olivier a interpretare il ruolo del protagonista maschile, ma lui rifiutò; alla fine due ruoli principali andarono a Howard Keel e Kathryn Grayson. Nel film compare anche lo stesso Porter in un piccolo ruolo: quello di un artista del teatro alle prese con un’attrice bizzosa e primadonna.
C’è molta danza, più che nello spettacolo teatrale; le coreografie sono di Hermes Pan. Però c’è un però. Nel corpo di ballo si nota un ballerino che allora aveva 26 anni e si chiamava Bob Fosse. Compare in quasi tutti i numeri di danza e ne ha anche coreografato uno, senza che questo risulti nei crediti. In seguito, come sappiamo, Bob Fosse si è espresso magnificamente sia come coreografo sia come regista, anche cinematografico; ha ottenuto l’Oscar per Cabaret.
Nelle versioni cinematografiche dei musical di Cole Porter i testi delle canzoni, che erano molto audaci per l’epoca, venivano regolarmente censurati. Accadde anche in questo caso. Nella canzone I Hate Men, nel testo originale compariva la parola “vergine”, che nella versione per il cinema divenne “signorina”. In teatro il personaggio cantava: “Odio gli uomini. Piuttosto che sposarne uno, rimarrò vergine tutta la vita!”. E nel film canta: “Odio gli uomini. Piuttosto che sposarne uno, rimarrò signorina tutta la vita!”. Il che sarà pudico, forse persino chic, ma anche lapalissiano, o no?
Molto interessante, grazie!