Note a margine del libro «Brutte notizie» di Maria Luisa Busi

Riflessioni di un professore di filosofia a partire dal libro di denuncia della nota giornalista televisiva

Articolo di Emanuele Troisi

Ho appena finito di leggere Brutte notizie. Come l’Italia vera è scomparsa dalla tv di Maria Luisa Busi, la coraggiosa giornalista e conduttrice del Tg1 che nel maggio scorso, con un gesto senza precedenti, decise di abbandonare la redazione del telegiornale per dissenso nei confronti della linea editoriale adottata dal nuovo direttore Augusto Minzolini.

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È un libro di denuncia che risponde a un deficit di consapevolezza e conoscenza che ha ormai assunto nel nostro Paese livelli drammatici.

Leggendolo mi sono chiesto cosa possiamo e dobbiamo fare noi precari, soprattutto noi precari della scuola, dopo che la nostra situazione è stata ampiamente denunciata. Siamo saliti sui tetti. Ci siamo incatenati. Abbiamo fatto i sit-in. Abbiamo scioperato. Siamo scesi in piazza. Abbiamo urlato. Abbiamo cantato. Ci siamo arrabbiati. Abbiamo occupato gli istituti. Cosa possiamo fare ancora contro il cinismo di chi amministra la scuola e contro l’indifferenza di chi dovrebbe raccontare le nostre storie e non lo fa, come denuncia la Busi? Come possiamo reagire alla marginalizzazione cui ci condannano i primi e all’oblio in cui ci confinano i secondi?

A volte mi viene da pensare che ci restino solo due strade, una peggiore dell’altra: la lotta armata (leggi: la rivoluzione) o la fuga all’estero (leggi: l’emigrazione). Siamo in pieno clima di festeggiamenti per i 150 anni dall’Unità d’Italia, ma per molti italiani, soprattutto per noi meridionali, che il prossimo 17 marzo dovremmo indossare i colori del lutto e non quelli della festa se solo conoscessimo un po’ di più la nostra storia, la situazione non è cambiata di molto rispetto a quella che era un secolo e mezzo fa.

I nostri avi furono costretti a imbracciare le armi per difendere la loro terra e la loro dignità. Poi quando ci si rese conto che era tutto inutile perchè “loro”, i fratelli d’Italia, erano più forti, perché più barbari e più cinici, furono costretti a riempire di speranza più che di panni le loro valigie di cartone e andare a cercare “fortuna all’estero”. Per fortuna accolti e non respinti come facciamo o vorremmo fare noi, con i migranti che bussano alle nostre porte.

Forse oggi l’unico vantaggio che abbiamo rispetto a loro è che, avendo imparato a leggere e scrivere, abbiamo forse più forza mentale per capire i problemi e per cercare soluzioni più “intelligenti” di quante la disperazione e la miseria non ne suggerissero a loro. Il fatto è che tutta questa intelligenza si sta esaurendo, si sta svuotando, si sta svilendo, colpita com’è quotidianamente dalle continue mortificazioni che le infligge lo strapotere della Stupidità. Arrogante, presuntuosa, pervasiva, onnipresente, ignorante.

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Un tempo era il binomio “trono-altare” che ottundeva le coscienze. Oggi è la saldatura tra partiti politici, criminalità organizzata e media a imbavagliarle, condannando un’intera generazione, la mia, quella dei nati dopo il 1970, a guardare con preoccupazione, se non con angoscia, al futuro. E le generazioni successive, forse, a non averlo proprio, un futuro. Un tempo, neanche tanto lontano, fu una borghesia dinamica e colta, insofferente e combattiva, illuminata e filantropa, coraggiosa e invitta ad abbattere quel sistema soffocante e a risvegliare le coscienze di tutti. Era quello il tempo delle rivoluzioni che, a costo di grandi sacrifici umani, ci hanno reso, da sudditi, cittadini liberi e capaci di autodeterminarci.

Oggi che ne è di quella libertà e di quel diritto all’autodeterminazione, conquistati con tanta fatica? Noi cittadini ci rendiamo conto benissimo di quello che sta accadendo nel Paese. Vogliamo Informazione e ci danno intrattenimento. Vogliamo Verità e ci danno opinioni. Vogliamo Cultura e ci danno spazzatura. Vogliamo Consapevolezza e ci regalano paura. Nonostante si faccia di tutto per non farci capire nulla e per non farci pensare, noi tutte queste cose le capiamo benissimo lo stesso perché, come dicevo, abbiamo la forza mentale sufficiente per capirle. Ma una volta che le abbiamo capite, una volta che le abbiamo denunciate e nessuno ci ha ascoltato, cosa possiamo fare? Cosa ci resta da fare? Dobbiamo fare la rivoluzione? Dobbiamo emigrare?

Ma ci rendiamo conto che fare la rivoluzione, costringere qualcuno a farla perché non ci sono altre strade, significa versare altro sangue innocente e magari domani essere additati dalla storiografia ufficiale come “briganti” o come terroristi e non come eroi o partigiani, se la cosa non dovesse riuscire?

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Ci si rende conto che emigrare significa vivere da sradicati e che chi è sradicato, come ha scritto Simone Weil, finisce prima o poi per sradicare anche gli altri, secondo una lezione amarissima che la Storia ci ha già dato ma da cui l’umanità sembra aver imparato ben poco? È davvero così difficile fare tutti un passo indietro? È davvero così difficile, in una democrazia moderna, scongiurare le rivoluzioni e le emigrazioni smettendola di litigare, di discriminare, di distinguere, di escludere, di impoverire? È davvero così difficile smetterla di mentire? È davvero così difficile mettere mano, tutti insieme, a una riforma, meglio ancora, a una rifondazione del Paese, ripartendo dalle sue Verità, anche quelle più scomode e più tristi, e cancellando, non solo dai libri di storia ma dalle nostre coscienze, le molte, troppe menzogne su cui finora l’abbiamo costruito?

È necessario rispondere ora, non domani, a queste dure domande, che non sono le domande di uno solo, precario e insegnante, ma sono le domande di un’intera generazione che vuole un futuro, che pretende un futuro e che un futuro se lo darà. Con le buone o con le cattive, se sarà necessario.

Articolo di Emanuele Troisi, professore di filosofia in un liceo classico.


Immagini: copertina del libro di Maria Luisa Busi; migranti in arrivo a New York, 1991 – Images of History; lapide commemorativa in onore delle vittime del Regno delle Due Sicilie posta all’interno del Forte di Fenestrelle, andata distrutta nell’agosto 2013 in seguito ad atti vandalici – Wikipedia.

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Questo è il sito di Rita Charbonnier, autrice dei romanzi Figlia del cuore (di prossima uscita per Marcos y Marcos), La sorella di Mozart (Corbaccio 2006, Piemme Bestseller 2011), La strana giornata di Alexandre Dumas e Le due vite di Elsa (Piemme 2009 e 2011). Scopri di più...

11 commenti su “Note a margine del libro «Brutte notizie» di Maria Luisa Busi

  1. Purtroppo la società tanto spesso non ascolta le parole di quelli che veramente avrebbero diritto di parlare.
    Bellissime parole, prof, e durissime verità.

  2. per essere ascoltati cosa si deve fare ? scendere in piazza con le armi?il problema non svanirà mai ma continuerà a peggiorare e ad accrescersi con il tempo. cmq bellissimo commento prof

  3. parole dure, sentite e purtroppo molto realistiche. Se per voi della generazione del 70 c’è tanta disillusione e così poca speranza in un futuro migliore, per noi che adesso ci affacciamo sulla vita c’è solo tanta paura.Nè la lotta armata nè la fuga riesco a vederle come soluzioni… bel commento prof!

  4. è triste sapere a 17 anni di non avere un futuro. è triste vedere il proprio paese sgretolarsi ogni giorno di più e contemporaneamente studiare periodi della storia in cui l’Italia è stata grande.

  5. Non basta lo smarrimento di una generazione ancora precaria nonostante l’età, nè quello di una generazione ancora giovane che di fatto futuro non ne ha. Mille idee, teorie, non servirebbero quando una soluzione non c’è. Da professore insegna che nella storia ci sono corsi e ricorsi, situazioni che si ripropongono molte volte nelle stesse vesti. Sembra diverso,è più complicato solo perchè non stiamo leggendo superficialmente su un libro che questo è “un secolo buio..” come si legge spesso sui testi scolastici, ma lo stiamo vivendo sulla nostra pelle, a nostre spese

  6. Emanuele, intervieni, per favore, e dì qualcosa non dico di sinistra, ma di costruttivo… Con tutto il rispetto, ragazzi: vi ringrazio per i vostri commenti, e credo sia giusto individuare i problemi, e anche rimuginarci sopra, volendo; ma dopo un po’ basta con l’atteggiamento depressivo, e creiamoci un progetto comune, o almeno una linea di condotta individuale. Mi sembra che le ultime parole del vostro prof siano: una generazione che un futuro se lo darà.

  7. Innanzitutto: bellissime parole, prof. 😀
    Beh se ORA l’Italia fa schifo dobbiamo prendercela anche con noi stessi, perchè NOI siamo l’Italia, noi dobbiamo fare qualcosa per cambiarla! è brutto vedere che ragazzi giovani, laureati sono costretti ad andare all’estero o al Nord perchè qui non c’è lavoro, ma è ancora più brutto vedere persone in televisione che se ne lamentano e che non fanno assolutamente nulla per risolvere questo problema… Se vogliamo un futuro migliore dobbiamo fare qualcosa ORA e non aspettare qualcuno che lo faccia per noi !
    Saluti.
    PS: Complimenti al Prof. per l’articolo e a Rita per questo splendido blog.

  8. Mi avrebbe fatto piacere cominciare questo commento con una citazione di De Andrè (la celeberrima “Verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora più forte!”), ma mi accorgo che non ne ho la forza. Non ne ho la forza perché mi rendo conto che l’articolo che avete scritto, prof, non è dettato dal cinismo o dal disfattismo di un Italiano, ma dall’osservazione lucida della realtà che ci sta sotto gli occhi. Vi chiedete cosa dovremmo fare. Se prima non rispondiamo ai mille interrogativi che voi avete citato non possiamo avere una risposta, se prima non interveniamo sulla coscienza di un popolo non possiamo basare il cambiamento sulle idee di pochi. Sono in un certo senso ottimista, abbiamo ancora la forza per toglierci di dosso le nostre etichette.

    “Ma penso
    che questa mia generazione è preparata
    a un mondo nuovo e a una speranza appena nata,
    ad un futuro che ha già in mano,
    a una rivolta senza armi,
    perché noi tutti ormai sappiamo che se Dio muore è per tre giorni!
    E poi risorge!”

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