L’affaire «Agrodolce» e Il Fatto Quotidiano

La soap opera della RAI, prodotta dalla Einstein Multimedia, è al centro di uno scandalo sollevato dal noto giornale

Per alcuni anni ho lavorato come sceneggiatrice di soap opere televisive (sì, ho fatto anche questo. Ne avevo già parlato qui e anche, en passant, qui). L’ultima in ordine di tempo è Agrodolce, che al momento si trova al centro di uno scandalo sollevato dal Fatto Quotidiano con un’inchiesta, corredata di videoricostruzioni e intercettazioni, partita il 3 dicembre scorso e aggiornata nei giorni successivi.

Prima di entrare nel merito della questione, vorrei provare a sgombrare il campo da qualunque giudizio critico-estetico su questa soap opera e sulla soap opera in sé. Si tratta di un prodotto televisivo, ovvero di un qualcosa che in Italia è purtroppo non eccelso, generalmente, di per sé; e la soap, nomen omen, ha lo scopo precipuo di “fidelizzare” il maggior numero possibile di spettatori-acquirenti di saponi (e altri prodotti reclamizzati durante le interruzioni pubblicitarie). Scrivere una soap opera, ovviamente, si può fare più o meno bene; come più o meno bene, nell’Ottocento, si scriveva il feuilleton. Ma, ripeto, andiamo oltre.

Sono tra i numerosi lavoratori (sceneggiatori, registi, attori, maestranze) che devono ancora essere pagati per il lavoro svolto mesi fa per Agrodolce (le mie fatture non saldate hanno data 1 Aprile 2011). Diversi miei colleghi hanno fatto causa alla Einstein Multimedia, società produttrice del programma e quindi nostra debitrice; io ho deciso di non farlo, dopo aver valutato costi e benefici. A febbraio, quando — dopo un periodo di interruzione dovuto ad altri miei impegni — fui richiamata a scrivere puntate, mio padre stava morendo quindi, per diverse ovvie ragioni, riuscii a scriverne una sola; di conseguenza il mio credito è relativamente basso.

Da un punto di vista autoriale, Agrodolce non è di Ruggero Miti, alto funzionario Rai, come da alcune parti sarebbe stato affermato. Né sono di Ruggero Miti le più note serie La Squadra e Un posto al sole, che lui sembrerebbe attribuirsi, stando a quanto riporta una nota su Facebook. Sono invece di Wayne Doyle, sceneggiatore australiano che si trasferì in Italia diversi anni fa con il compito specifico di creare le suddette serie e formare autori di “lunghissima serialità televisiva”, che qui non esistevano. Ne ha formate almeno due generazioni poi, forse anche a causa dell’affaire Agrodolce (che esiste da molto prima che Il Fatto, meritoriamente, ne parlasse) è tornato in Australia, non prima di rilasciare alcune dure dichiarazioni sul mondo della fiction italiana (soprattutto in un’intervista pubblicata su Io Donna del Corriere della Sera l’8/5/2010, che non si trova online).

A un certo punto, non ho mai capito perché, Wayne (che l’aveva creata, con la collaborazione di Magda Monti e Kirsi Viglione) non fece più parte di Agrodolce e a dirigere il gruppo di scrittura della serie fu messo un editor Rai. Il che rappresenta una stranezza. L’editor è la voce della rete, stipendiato dalla rete, che interloquisce (e spesso litiga, nei migliori casi costruttivamente) con il reparto scrittura, pagato in forma libero-professionale dalla produzione appaltatrice. Le due voci, in un sistema come questo, si confrontano; non si identificano.

Ma torniamo al Fatto. Che, dunque, all’inizio di dicembre pubblica un primo articolo sulla losca vicenda di Agrodolce. Luca Josi, il presidente della Einstein, “ex delfino di Bettino Craxi negli anni difficili di Mani Pulite e della latitanza ad Hammamet” (difficili?) viene sostanzialmente presentato come un onesto lavoratore vittima di un sistema corrotto e persino mafioso. Il che può apparire un tantino semplicistico. Per quanto sia oggettivamente difficile veder chiaro in una vicenda così intricata, di sicuro non è tutta “colpa” della Rai e di sicuro la Einstein non è solo parte lesa, non avendo rispettato i contratti da lei sottoscritti con i lavoratori.

Colpisce poi che Josi si sia portato alle riunioni di lavoro l’occorrente per registrare, in segreto, le medesime. Il tono usato da Minoli nelle conversazioni intercettate fa spavento; ma non meno ne fa, mi sembra, l’atto di programmare in silenzio, e per lungo tempo, un exploit del genere. Mi ritengo fortunata per aver dovuto più volte rifiutare impegni stabili all’interno di questa serie (una volta stavo scrivendo La strana giornata di Alexandre Dumas, un’altra Le due vite di Elsa) ed essermi quindi risparmiata un clima di lavoro a dir poco velenoso.

Ma quel che più di tutto mi ha colpita, nei vari botta-e-risposta pubblicati dal Fatto, e che in occasioni simili sempre molto mi colpisce, è il diffuso ignorare l’esistenza degli sceneggiatori (e persino dei registi). Secondo Wikipedia, la sceneggiatura è “il primo e fondamentale passo nella realizzazione di tutte le opere cinematografiche e di fiction televisiva”. Come si può perdere di vista il fondamento? Persino l’associazione di categoria 100autori, in un comunicato stampa del 6 dicembre, esortava a far luce sulla vicenda e si schierava a fianco dei lavoratori siciliani, ma non nominava i colleghi sceneggiatori e registi sparsi in tutta Italia. L’unico a parlare di sceneggiatura, e solo con intento polemico, è stato Miti. Rispondendo all’accusa di aver favorito la figlia attrice facendole assegnare, e mantenere, un ruolo in Agrodolce, ha esclamato (sempre secondo il Fatto): “aveva un personaggio importante nella prima serie, io cosa dovevo fare, dire allo sceneggiatore di farlo morire?” Miti sa meglio di chiunque che gli sceneggiatori di una serie televisiva sono più d’uno; ma soprattutto, le sue parole — così come sono state riportate — riducono la sceneggiatura a mero strumento di esigenze “altre”. Il che, come tristemente sanno gli sceneggiatori italiani, è quel che spesso accade nella realtà del lavoro; ma basta (mi son detta) con l’accettare supinamente questa cosa.

E allora, con alcuni colleghi (anche registi, attori e maestranze) si è deciso di inviare una lettera al Fatto Quotidiano. Che non è stata pubblicata. Non si può incolparne il giornale: le minestre giornalistiche si raffreddano in fretta, e quando abbiamo iniziato a discuterne la minestra era già tiepida. E ci è voluto un po’ per concordare una versione. Difficile mettere insieme tante teste (che scrivono). È stata pubblicata sul sito della SACT, altra importante associazione di categoria.

La lettera non è comunque passata inosservata (il che testimonia come a manifestare le proprie ragioni in modo equilibrato ci si guadagni sempre). La Einstein ha scritto ai 100autori in merito al loro comunicato stampa di cui sopra, e l’associazione ha risposto citando la nostra lettera e finalmente, oserei dire, schierandosi al fianco di tutti i lavoratori di Agrodolce, sceneggiatori compresi (trovate la corrispondenza su 100autori.it nella scheda “Editoriali”). Dopodiché la Einstein ha iniziato a inviare lettere personali ad alcuni sceneggiatori, mediante le quali sembrerebbe (io al momento della pubblicazione di questo post non ho ricevuto nulla, quindi presumo) voler rimediare a un difetto di comunicazione tra l’azienda e i soggetti contrattualizzati.

Ci sono diverse cause in corso. Anche la politica si è espressa, tra interrogazioni parlamentari e richieste di chiarimenti alla direzione generale della Rai. Oggi La Stampa pubblica un articolo, nascono blog e pagine Facebook. Inoltre sembra sia stato aperto un “tavolo tecnico” tra Rai e Regione Sicilia, con l’obiettivo di prendere decisioni entro la fine dell’anno.

Nel frattempo Il Fatto ha continuato a sferrare attacchi alla Rai su altri fronti. Denunciare l’inciucio di turno è senz’altro efficace e anche doveroso sul piano giornalistico (per quanto un noto ex-amico del Fatto, Beppe Grillo, già nel 2006 pubblicò un lunghissimo elenco di “parenti di” che lavorano in Rai; a riprenderlo, ci sarebbe di che campare di inchieste per un anno). Ma sul piano di quel cambiamento di cultura così necessario in questo paese, non so quanto puntare il dito sia efficace. Perché il problema non è Comanducci, o chi per lui.

Il problema siamo noi. Siamo noi che continuiamo a tentare di avvalerci delle “conoscenze” nelle più banali situazioni quotidiane, consolidando ogni giorno un sistema strutturale di relazioni, aderenze e sopraffazioni poco lineare, e sostanzialmente egoistico. Senza capire che l’egoista, in realtà, non valorizza se stesso, perché esclude il rapporto con l’altro; l’operato individuale si valorizza nel rapporto con l’altro.

Anni fa Wayne Doyle, nel formare i suoi gruppi creativi, tentò di mettere in piedi un sistema che premiava il merito. Quel sistema ha perso. Mia nipote Giulia, poco più che ventenne, un giorno mi ha chiesto con sincero dispiacere: “ma perché la fiction italiana è così brutta? Perché io riesco a guardare solo Boris, e poi tante stupende serie americane (di norma su Internet?)” Perché il sistema televisivo italiano è corrotto in modo endemico, le ho risposto. E la corruzione produce mediocrità.

Aggiornamento del 5/1/12. La replica di Luca Josi a queste mie considerazioni.

About

Questo è il sito di Rita Charbonnier, autrice dei romanzi Figlia del cuore (di prossima uscita per Marcos y Marcos), La sorella di Mozart (Corbaccio 2006, Piemme Bestseller 2011), La strana giornata di Alexandre Dumas e Le due vite di Elsa (Piemme 2009 e 2011). Scopri di più...

11 commenti su “L’affaire «Agrodolce» e Il Fatto Quotidiano

  1. Vede Rita che si scoprono gli altarini… E chissà che altro farà… (io comunque già dichiarai, scandalizzando certi ben pesanti, che la mia massima ambizione è fare l’autore al programma coi vecchiacci di Maria De Filippi, cosa che poi ho scoperto fece per un po’ di tempo il celebrato dai medesimi ben pesanti del letterativo Walter Siti). In ogni caso, la russità e io la vedevamo la fiction: secondo noi era fatta meglio del pur ottimo prodotto che è il posto al sole; noi poi in Sicilia ci andremmo a vivere volentierissimo… (io anche più a sud).

    Fa bene a parlare così a sua nipote Giulia, perché la corruzione che c’è in tv, nell’industria culturale in genere, non è affatto inferiore a quella che c’è in politica e negli affari: se ci si vuole stare a contatto, purtroppo, tocca arrangiarsi…

  2. Caro Larry, ma che bella sorpresa! Sa che vagheggiavo di inviarle il link alla pagina, perché avrei gradito molto un suo parere? E lei me ne gratifica spontaneamente! Mi piacciono e mi sorprendono queste “corrispondenze”.

    Il fatto che lei, dall’occupazione ancora misteriosa, e la consorte specialista di letteratura russa guardaste “Agrodolce” testimonia, una volta di più, come la soap opera annoveri seguaci anche tra le persone colte. Lo sottolineo a beneficio di benpensanti e snob.

    Tocca arrangiarsi, dice? A me, forse ingenuamente, piace ancora sperare e credere in una possibilità di cambiamento. Ci vorrà un po’… ci vorrà molto. Ma non è un sogno impossibile…

    Grazie di cuore. E a presto.

  3. Cara Rita, io ne sono certo! Il cambiamento è già in atto nel momento in cui anche un solo individuo ne ha la volontà! Forse si, ci sarà bisogno di tempo ma avverrà; anche grazie a persone come lei che è riuscita, in questo marasma assurdo, ad esprimere un punto di vista obiettivo sulla questione. La verità sta sempre in mezzo, nessuno è esente da colpe, ma di sicuro c’è che le vittime sono sempre le stesse. Parola di un attore che crede ancora in agrodolce (forse siamo rimasti in pochi).
    Complimenti e grazie di cuore!

  4. cara Rita,

    la tua disamina – arricchita dall’esperienza personale che vale sempre il doppio – è esaustiva, ancorché molto triste. Ma il succo è proprio nelle tue considerazioni finali.

    Il degrado morale che attanaglia da diversi decenni gli italiani rende mefitico praticamente ogni campo del sapere o della comunicazione, o della semplice convivenza sociale. Ne abbiamo esperienza tutti, attraversando con l’auto la città, in un giorno qualunque, in un tragitto qualunque.

    E’ inutile prendersela con “i politici”, con “i raccomandati”, con i “corrotti”, se non si capisce che i politici, i raccomandati, i corrotti (in qualunque settore) sono prima di tutto italiani.

    Ci sarà un motivo se questo paese è passato in trenta- trentacinque anni da Fellini, Visconti, Antonioni, Gassman, Pasolini a Muccino (nella migliore delle ipotesi) e Ligabue.

    Ci sarà un motivo se siamo passati da Moravia, Morante, Gadda, Montale e Ungaretti a Fabio volo e faletti.

    Insomma, non è per esterofilia che uno apprezza “Lost” o “Mildred Pierce” . E’ perché sono lontani anni luce dal nostro modo (attuale) di lavorare, di rappresentare, di raccontare. Noi, sempre più lontani, a quanto pare, dal nucleo del vero e dell’essenziale. Loro, ancora capaci di farlo. Di emozionarci, perché ad emozionare – da sempre – sono sempre e soltanto verità e bellezza. Due parole che nel nostro strampalato paese in questo periodo appaiono bandite, quasi im-pronunciabili.

    Complimenti e un abbraccio

    f.

    p.s. su “Mildred Pierce” ho scritto una piccola riflessione sul blogghino qui :

  5. Grazie, Fabrizio. Dei complimenti che spero meritati, di aver espresso il tuo pensiero (non meno amaramente di me, temo) e del link al tuo post su Mildred Pierce, che da più parti mi dicono essere un lavoro imperdibile. Lo cercherò senz’altro in rete. E sono certa che vederlo non accrescerà la mia amarezza; l’esempio di possibilità diverse, altre, è sempre stimolante. Se la televisione italiana al momento non lo è molto, e sembra non offrire troppe possibilità di espressione, dovremo cercarcene altre. Io ci provo, da tempo. E a volte ci riesco. Sono certa che valga anche per te.
    Un abbraccio e buone feste.

  6. Caro Fabrizio, ti ho risposto sul tuo blog attraverso Facebook, ma inserisco il mio commento anche qui. Ieri ho visto la prima puntata della miniserie Mildred Pierce. Senz’altro un esempio di eccellenza da tutti i punti di vista: storia (ovviamente), sceneggiatura, interpretazioni, regia, scene, costumi e quant’altro. Con tutto ciò, Fabrizio, mi è sembrato un lavoro molto “classico”. Personalmente (è una questione di gusto) la grande fiction americana mi entusiasma quando si esprime attraverso moduli seriali più lunghi, dall’ispirazione meno cinematografica e in forme più innovative, sia sul piano dei contenuti, sia del linguaggio. La HBO ci ha “abituati” a lavori come “Sex and the City”, “I Soprano”, “Six Feet Under”, per citare solo alcuni casi molto noti; e riguardo alla narrazione della depressione economica che viviamo, trovo ad esempio molto divertente e spregiudicato “Hung, Ragazzo squillo”. Da noi, per tornare alla questione dell’esterofilia, un lavoro come “Mildred Pierce” non sarebbe impensabile, qualora esistessero le condizioni per realizzarlo così bene (ed è ovvio che non esistono); mentre temo che sarebbe del tutto impensabile, per ragioni di bigottismo e mancanza di coraggio, una serie su quattro donne che fanno l’amore con chi pare a loro, su una famiglia mafiosa oppure di becchini; o magari, su un uomo separato di oltre quarant’anni e superdotato (lo dice il titolo!) che, perso il lavoro, si prostituisce.
    Abbracci e ancora buone feste!

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