È utile avere un agente letterario? E come si fa a trovarne uno serio? Una serie di articoli per dare risposte a queste domande
Quello che segue è il primo di tre articoli che ho dedicato, nel 2012, alla figura dell’agente letterario/a. Da allora la situazione è piuttosto cambiata, un po’ per via della crisi economica, un po’ per via della crisi dell’editoria. Anche quella dell’agente è diventata una figura ibrida, che il più delle volte offre servizi a pagamento, e proprio l’editing è uno di questi. Inoltre, il panorama presenta da un lato gigantesche agenzie letterarie alle quali è praticamente inutile rivolgersi, dall’altro una miriade di piccole realtà molte delle quali semi-professionali. E ancora, alcune case editrici preferiscono “pescare” i libri da pubblicare tra gli autopubblicati di successo più che tra gli inediti. Come orientarsi in questo mondo confuso? Informandosi il più possibile. Credo che questi miei contributi siano tuttora utili allo scopo.

Premessa. Aspiranti scrittori, fatevi una cortesia: ignorate le affermazioni che trovate in rete secondo le quali gli agenti letterari, e/o gli editor presso le case editrici, interverrebbero pesantemente sui libri prima della loro pubblicazione, in pratica riscrivendoli (quindi l’autore non avrebbe alcun merito: pubblicano solo gli amici degli amici) oppure piallandoli sul piano artistico per renderli appetibili sul piano commerciale (quindi l’autore si sarebbe svenduto: per pubblicare devi rinunciare alla tua integrità).
Sono anni che vagheggio di pubblicare uno o più post a proposito degli agenti letterari come figure indispensabili al fianco degli scrittori, o di coloro che desiderano diventarlo — e sono stata lieta di trovare in rete, tempo fa, questo articolo di Michela Murgia (aggiornamento: l’articolo non è più disponibile). Ricevo diversi messaggi da scrittori in erba che mi chiedono “come si fa” a pubblicare un libro e a tutti inevitabilmente rispondo: non inviare il tuo testo agli editori, ma proponilo a un agente letterario.
Individuare l’editore al quale inviare i tuoi scritti, o aspirante romanziere, è compito dell’agente; spedire personalmente il tuo lavoro a tutte le case editrici d’Italia è una perdita di tempo, e una ripetuta frustrazione che ti consiglio caldamente di risparmiarti.
L’agente letterario conosce il mondo editoriale meglio di te e sa quindi chi possa essere eventualmente interessato al tuo lavoro; e quando l’interesse si sarà manifestato, stipulerà per te un contratto migliore di quello che stipuleresti tu. Inoltre, l’agente è il tuo primo editor e può darti consigli preziosi sulla tua scrittura.
Avere un post sul mio blog che esplori questi argomenti, già pronto da inviare a coloro che mi chiedono informazioni, sarebbe un vantaggio — pensavo. Se finalmente mi sono decisa a pubblicare questa pagina, invece, è sull’onda del dolore per una perdita, quella della mia agente, Daniela Bernabò. Perdita sulla quale non mi dilungo per rispettare il riserbo di coloro che ne sono stati colpiti in maniera ben più grave.
Daniela era, tra le altre cose, una editor eccezionale. Che cos’è un editor eccezionale? Una persona colta, competente e, a differenza vostra, emotivamente distaccata dal vostro scritto. Una persona che sia quindi in grado di analizzarlo, magari in fieri, e individuarne i punti di forza e debolezza; che vi spinga a valorizzare i primi e correggere i secondi, senza suggerirvi soluzioni, ma lasciando che siate voi a trovarne, così da indurvi a creare un’opera artisticamente più valida. Il tutto senza urtare la vostra suscettibilità, giudicando o criticando; non per buona educazione o rispetto personale ma semplicemente perché, se vi sentite attaccati quindi vi irrigidite sulla vostra posizione, non se ne esce più.

Esempio. Nel mio romanzo Le due vite di Elsa avevo originariamente inserito nel sottofinale un capitolo nel quale il giovane psichiatra Giuseppe d’Ambrosio, personaggio-specchio di Giuseppe Garibaldi (spero che qualcuno abbia letto il libro, così da capire di cosa sto parlando) incontrava un uomo mentalmente disturbato che sosteneva di essere Alexandre Dumas padre. L’episodio nasceva dal fatto che il mio trittico di romanzi storici, così come l’avevo concepito alcuni anni fa, prevedeva un personaggio che dal primo libro torna nel secondo, e un personaggio che dal secondo torna nel terzo (Dumas, appunto). La cosa mi è riuscita discretamente nel secondo caso, poiché il personaggio che riappare (Victoria d’Ippold) è portatore di un contenuto centrale nella storia: non sapere di chi si è figli. Quindi non si tratta di una mera trovata: alla radice c’è un significato profondo.
In questo caso il legame tematico non c’era. C’era solo un pretesto storico (il rapporto di amicizia che vi fu tra Dumas e Garibaldi) e una mia convinzione, probabilmente erronea, della necessità funzionale di quella scena, che doveva motivare Giuseppe a compiere la sua scelta finale. Il tutto, però, rimaneva su un piano di discussione accademica, poco emotiva, proprio nel momento che precede il climax e quindi rischiava di comprometterlo. Col senno di poi, credo di poter affermare che quella scena ammazzasse il romanzo.
Nella tarda estate del 2010, appena finita di leggere la prima stesura, Daniela Bernabò mi chiamò per dirmi che ne era molto soddisfatta. Mi fece alcune piccole annotazioni, lasciando intelligentemente il vero problema al finale della telefonata. “Riguardo al capitolo di Dumas” disse la mia editor con molta gentilezza “ho un piccolo dubbio, e te lo manifesto per quel che è, poi vedrai tu. Non sarà… un po’ troppo? Come quando si mette troppo sale nella pietanza…”
Da questa sua domanda nacque una riflessione che mi portò alle conclusioni di cui sopra quindi a eliminare del tutto la scena (modificando di conseguenza molte altre cose).
Se lei mi avesse detto la verità, ovvero che quella scena era, se non dannosa, inutile (e tutto, nella scrittura, deve essere necessario) io mi sarei sentita come se mi avesse richiesto l’amputazione di un arto e avrei impiegato molto più tempo per comprendere. E se lei non avesse individuato quella falla, l’avrei magari individuata io stessa (sentivo che qualcosa non andava, eppure ci tenevo così tanto a metterci Dumas…) ma chissà quando. Il processo è stato quindi più rapido, meno accidentato e doloroso e la casa editrice ha ricevuto un lavoro già strutturalmente pronto per la pubblicazione, a vantaggio di tutti.
Ecco cos’è un editor eccezionale. E io non posso che esprimere a Daniela la mia profonda gratitudine per avermi aiutata a crescere, e non solo come scrittrice. Che la terra le sia finalmente lieve.
Non tutte le agenzie letterarie, che io sappia, instaurano con i loro clienti un rapporto di questo genere; ma che lo facciano costituisce, a mio parere, un notevole valore aggiunto.
Nel prossimo post (che pubblicherò la prossima settimana, o la seguente domani, martedì 24 gennaio) mi concentrerò sui criteri in base ai quali orientarsi tra i tanti nominativi di agenti letterari reperibili in rete (in primo luogo, quello di scartare coloro che chiedono denaro per valutare gli inediti). Nell’attesa, per un profilo della professione di grande autorevolezza, e per capire definitivamente, e senza più dubbi, perché avere un agente rappresenta un vantaggio da tutti i punti di vista, vi invito a leggere questo articolo di Luigi Bernabò (aggiornamento: purtroppo l’articolo in questione non è più disponibile).
Arrivo dal blog di Michela Murgia per ringraziarla di questo suo articolo. Fa chiarezza sulla realtà editoria che continua a dar voce a un sacco di chiacchiere.
Grazie a lei del suo commento, dal quale scopro che Michela Murgia ha importato il mio articolo. Il mio intento è proprio quello di far chiarezza, sfatare le tante, troppe chiacchiere e fornire informazioni. Nelle prossime settimane pubblicherò altri post sull’argomento. Un caro saluto e buon lavoro.
Anche io arrivo grazie il blog della Murgia. Confesso che sono disarmato da tempo. Come aspirante scrittore non so dove sbattere la testa. Le cade editrici non ti calcolano. I concorsi sono tanti, infiniti, e non sempre è facile seguirli e gestire le proprie creazioni in base alle indicazioni del regolamento. Le agenzie letterarie sembrano castelli inespugnabili. Mi chiedo cosa bisogna fare per trovare un editor che almeno ti prenda sul serio e ti legga. Mah…grazie comunque per il bel post. Almeno mi ha illuminato certo zone d’ombra. carlo
Grazie al blog. 🙂 Sorry
Cara Rita,mi dispiace tantissimo per la tua perdita anche perchè so che avviene a poca distanza da un’altra perdita importante nella tua vita (mi permetto di parlarne perchè tu stessa vi hai accennato qui,in un altro post). Comunque il tuo articolo è come sempre molto interessante e sono sicura che sia di valido aiuto agli interessati. Ciao,un abbraccio. BV
Io penso che questo penoso traffico di manoscritti serva solo agli editori per fare marketing. Sembrano dire: ” sì sì, poi ti pubblico, per ora tieniti informato e compra i libri che pubblichiamo; vedrai che prima o poi toccherà anche a te… ” Penso sarebbe più equo se selezionassero i nuovi autori mediante un concorso gratta e pubblica; e che si fa prima a farsi cercare dagli editori che a cercarne. E in ogni caso, libri non ne compro (eccetto quelli di Rita, naturalmente).
@ Carlo: non preoccuparti per il refuso. Ma, più di tutto, non arrenderti. Sono lieta che questo post ti sia stato di una qualche utilità. Ma, più di tutto, NON ARRENDERTI.
@ BV: grazie di cuore.
@ Larry: passo con arroganza al “tu” perché quanto sto per dirti col “lei” suonerebbe male: come si fa a non adorarti? E lo dico con tanti carissimi saluti e complimenti a Sua Russità. 🙂
Scrivere bene sino a farsi leggere da sconosciuti e a procurare loro piacere è cosa talmente difficile che trovo legittimo, igienico e salutare qualsiasi impedimento (leggi agente letterario) funzionale a scoraggiare la pubblicazione di schifezze. Tuttavia voglio raccontare la mia esperienza: ho pagato 400 euro a una accreditata Agenzia letteraria per sentirmi dire che il mio romanzo è ben fatto, che necessita di qualche aggiustamento ma che, tuttavia, l’Agenzia non è disponibile a revisionare l’opera. Subito dopo vengo pubblicato, con il medesimo romanzo, in ebook dal Gruppo Mauri Spagnol nell’ambito del democraticissimo concorso IoScrittore, in cui a decidere se un’opera merita la pubblicazione sono lettori non specialisti, cioè quelli che da secoli vediamo aggirarsi tra gli scaffali delle librerie. Un meccanismo, quindi, in cui decide il mercato.
Probabile conclusione: non è che la filiera autore->lettore stia subendo una metamorfosi, un alleggerimento?
Formulo questa ipotesi riferendomi soprattutto a fenomeni ben più macroscopici di quello sin qui descritto: penso a Amanda Hocking e ai suoi due milioni di copie vendute senza uno straccio di editore, di agente, di editor, di distribuzione.
Bene fanno gli case editrici a difendersi dal quotidiano assalto dei manoscritti ma, per dirla con Berto, mi sento di fare una modesta proposta per prevenire l’evoluzione prossima ventura: cari editori, leggete anche i romanzi che vi arrivano senza l’intermediazione di questa o quell’agenzia, perchè non tutti sono disposti a pagare solo per farsi dire che il proprio romanzo non è pubblicabile o che per essere rappresentato serve un editing da duemila euro. Inoltre, la storia ci insegna che gli agenti letterari sbagliano pure, sia proponendo orrori letterari, sia ignorando opere di qualità.
Non sto sostenendo, concludo, che l’agente letterario è inutile: dico solo che la grande e media editoria deve avere più coraggio, delegando meno. Mi rendo conto che ipotizzo un’impostazione più faticosa ma ho la sensazione che i nuovi mezzi di comunicazione stiano preparando una rivoluzione.
AERRE
Grazie del contributo. Temo che quello che è accaduto a lei (accreditata agenzia che si fa pagare 400 euro per spiegarle nei dettagli che il suo romanzo è buono ma non sarà dalla stessa rappresentato) accada a molti. Vorrei comunque aggiungere che gli editori, anche importanti, valutano senz’altro anche gli inediti che arrivano loro direttamente dagli autori sconosciuti; il punto è che, se l’inedito è stato inviato da un’agenzia letteraria, viene valutato prima degli altri per la semplice ragione che ha già superato una selezione. Poi gli errori li possono fare tutti: non siamo infallibili. La storia è piena di manoscritti rifiutati che, arrivati alla pubblicazione per altre vie, sono poi diventati dei successi.
Riguardo a casi come quello di Amanda Hocking, bisogna forse tenere presente che la stessa scrive in inglese, quindi ha un bacino di utenza potenzialmente imparagonabile con quello di un autore italiano che decida di pubblicarsi autonomamente in rete; e se in America ormai il lettore eBook ce l’hanno tutti, da noi si legge in primo luogo molto meno, e poi gli eBook si usano pochissimo. La “lezione” della Hocking secondo me è un’altra: lei non si è arresa, a dispetto di tutto. Questo è la prima, fondamentale, indispensabile caratteristica che tutte le persone di successo possiedono: qui non mi è andata bene? okay, ne provo un’altra.
In bocca al lupo.