Gli agenti letterari. 2: dare moneta vedere manoscritto

È utile avere un agente letterario? E come si fa a trovarne uno serio? Una serie di articoli per dare risposte a queste domande. Seconda tappa

Quello che segue è il secondo di tre articoli che ho dedicato, nel lontano 2012, alla figura dell’agente letterario/a. Da allora la situazione è parecchio cambiata, un po’ per via della crisi economica, un po’ per via della crisi dell’editoria. Anche quella dell’agente è diventata una figura piuttosto ibrida, che il più delle volte offre servizi a pagamento, uno dei quali continua a essere la valutazione degli inediti. Inoltre, il panorama presenta da un lato gigantesche agenzie letterarie alle quali è praticamente inutile rivolgersi, dall’altro una miriade di piccole realtà molte delle quali semi-professionali. E ancora, alcune case editrici preferiscono “pescare” i libri da pubblicare tra gli autopubblicati di successo più che tra gli inediti. Come orientarsi in questo mondo confuso? Informandosi il più possibile. Credo che questi miei contributi siano tuttora utili allo scopo.

L’articolo precedente ⬇️

Avevo previsto di pubblicare questo articolo la settimana prossima, ma lo faccio in anticipo perché quello di ieri ha avuto un certo riscontro e ha generato anche un rapido (necessariamente) scambio di opinioni su Twitter con Michela Murgia (come da immagine più in basso).

Nella prima puntata di questo viaggio alla scoperta delle agenzie letterarie ho dunque sostenuto come una caratteristica importante dell’agente dei vostri sogni, o aspiranti romanzieri, sia la disponibilità a darvi validi consigli sulla vostra scrittura. Ma come scegliere, tra le tante agenzie i cui recapiti si trovano facilmente in rete, quella giusta a cui proporsi? Raffinando la ricerca web, cercando riscontri e ulteriori collegamenti e poi chiedendo informazioni e conferme ad amici e conoscenti: certo. Andando a controllare se nei ringraziamenti in coda a un libro di un autore che ci piace è nominato un agente, e rivolgersi a lui/lei: ottima idea. Spulciando giornali, riviste specializzate: come no. Telefonando coraggiosamente ai diretti interessati e facendo domande dirette: è una possibilità. Ma in questo mare procelloso una buona direttrice di rotta mi sembra sia quella che induce a evitare gli scogli costituiti dagli agenti che chiedono denaro per valutare gli inediti.

Sul suo sito, Michela Murgia ha importato il mio articolo di ieri chiarendo, nella premessa, di non essere d’accordo su questo punto. “Valutare testi in maniera professionale” afferma “è una competenza e richiede molto tempo, anche quando conduce a un rifiuto di prendere in carico l’aspirante scrittore. Da che mondo è mondo i consulti degli esperti si pagano, perché fare consulenza è un lavoro.” Inoltre, in un commento, l’agente Daniele Pinna mi fa notare come quella di far pagare la lettura degli inediti sia una prassi applicata da molti agenti letterari italiani, anche noti, accreditati e con clienti prestigiosi.

Prima di tutto ringrazio l’autrice di Accabadora per aver importato il mio post nonché per avermi attribuito una competenza nella trattazione di questi argomenti; e colgo l’occasione per affermare che Michela Murgia è uno dei più brillanti cervelli che abbiamo in Italia e che la lettura di un suo articolo mi provoca sempre sentimenti di ammirazione. Però sull’argomento di cui sopra resto della mia idea.

Scambio su Twitter con Michela Murgia

Parto dalla mia esperienza. Nel lontano 2004 iniziai a scrivere un romanzo sulla sorella dimenticata di Wolfgang Amadeus Mozart. Non avevo la più pallida idea di cosa fosse un agente letterario, ma al tempo avevo una storia d’amore a distanza con un eccellente giornalista inglese (benedetta Ryanair) che mi disse: “Find yourself a literary agent, immediately”.

E allora mi misi a caccia, facendo ricerche approfondite su Internet; feci alcune telefonate esplorative e nessuno mi parlò di tasse di lettura (traduzione letterale dall’inglese “reading fee”). A un certo punto individuai un’agenzia che, sulla base degli autori che rappresentava e delle relazioni internazionali che sembrava avere, mi parve interessante e feci un tentativo. Al telefono l’agente (una donna) mi disse: “Se lei ha preso informazioni, saprà che la mia è un’agenzia piccola, ma seria; non una di quelle che si fanno pagare per leggere gli inediti”. Oggi quella stessa agenzia applica la tassa di lettura; lo so per certo perché un aspirante autore mi ha inoltrato la email che gli è stata inviata dalla medesima, con minuziosa descrizione del servizio.

Che cosa è cambiato da otto anni a questa parte? C’è stata la crisi economica? Gli aspiranti scrittori sono aumentati di numero, e applicando una tassa di lettura gli agenti riescono a “scremare”? È aumentata la consapevolezza dell’importanza del ruolo dell’agente, idem? Non ho una risposta. So solo che nel mondo anglosassone, dove la figura dell’agente letterario è nata (e dove, ahinoi, si legge assai di più) la pratica della “reading fee” è deprecata dalle associazioni di categoria AAR (Usa), ALAA (Australia), NZALA (Nuova Zelanda), che la proibiscono ai loro membri. La britannica AAA la consente solo previa autorizzazione scritta da parte del cliente. Nel codice etico della AAR, in particolare, si legge:

Noi riteniamo che la pratica di far pagare la lettura delle opere possa portare a gravi abusi e possa riflettersi negativamente sulla nostra professione.

Maggiori informazioni qui e qui; il secondo articolo, in particolare, analizza e confuta le argomentazioni più comuni a favore della tassa di lettura sugli inediti (è un modo per eliminare in partenza chi non è abbastanza motivato; è un modo per rendere gli aspiranti autori più accorti nella scelta degli agenti a cui rivolgersi; rispetta il principio del dare-avere; valutare un inedito è un lavoro, perché non dovrebbe essere pagato?).

Inoltre, la voce della Wikipedia inglese “Literary agent” riporta:

Gli agenti che esercitano legittimamente la professione non chiedono denaro per la lettura degli inediti né per spese di gestione, e comunque non hanno entrate di alcun genere a parte quelle derivanti dalle percentuali sui contratti [tra il 10% e il 20%, ndr] che stipulano con gli editori per conto degli autori loro clienti. Un’altra pratica discutibile è quella di indirizzare l’autore a un cosiddetto “editor professionale” esterno e in collusione con l’agenzia. Il lavoro di revisione richiesto da questa figura potrebbe non essere opportuno né di qualità professionale, ed è quasi sempre costoso.

Si tratta di acquisizioni piuttosto recenti; fino a qualche anno fa, navigando tra i siti delle agenzie letterarie americane, e mi pare anche sfogliando la Writer’s Guide, capitava di trovare diciture come “reading fee requested”. Si può quindi supporre che, poiché noi siamo spesso un po’ in ritardo sugli anglosassoni, il fenomeno sia destinato a sparire anche da noi.

E riguardo al lavoro di analisi del testo, amici miei aspiranti scrittori, vi dirò una cosa che non vi piacerà. La verità è che se il vostro libro è potenzialmente pubblicabile si capisce dalle prime pagine se non dalle prime righe; non è detto che serva un esame approfondito. Un valido regista teatrale che conosco una volta affermò di riuscire a valutare il potenziale di un attore dal modo in cui costui saliva sul palcoscenico prima di fare il provino; e che il 90% degli aspiranti attori da lui esaminati non raggiungeva lo standard minimo richiesto. Per i libri non è molto diverso. Una schiacciante percentuale degli aspiranti romanzieri produce materiale impubblicabile (nella maggior parte dei casi perché essi scrivono e non leggono). E un agente valido, e tutti gli agenti accreditati lo sono, capisce se potreste o meno diventare suoi clienti fin dalla email che gli scrivete proponendovi (nel prossimo post sull’argomento parlerò proprio di questo).

Sono d’accordo con Michela Murgia sul fatto che “i consulti degli esperti si pagano, perché fare consulenza è un lavoro”. Ma allora, ragazzi miei con un manoscritto nel cassetto e un sogno nel cuore, se volete un parere sulla vostra scrittura e avete qualche soldo da spendere, mi sentirei di dirvi: frequentate un corso, piuttosto. Vedere in faccia uno scrittore valido (e diversi scrittori validi tengono corsi) o anche un editor professionista, che si prenda la briga di leggere magari non il vostro romanzone ma uno scritto breve, e di analizzarlo vis-à-vis, con voi, è umanamente più soddisfacente che non ricevere a distanza una serie di “note” in base alle quali si stabilisce che il vostro romanzone è impubblicabile (perché ho paura che nella maggior parte dei casi avvenga questo).

Nel prossimo post sull’argomento, dunque, mi concentrerò sui modi più o meno sensati di proporsi a un agente letterario. Nel frattempo, date un’occhiata a questa pagina (in inglese).

L’articolo seguente ⬇️

About

Questo è il sito di Rita Charbonnier, autrice dei romanzi Figlia del cuore (di prossima uscita per Marcos y Marcos), La sorella di Mozart (Corbaccio 2006, Piemme Bestseller 2011), La strana giornata di Alexandre Dumas e Le due vite di Elsa (Piemme 2009 e 2011). Scopri di più...

    53 commenti su “Gli agenti letterari. 2: dare moneta vedere manoscritto

    1. Sono fondamentalmente d’accordo con Michela Murgia quando afferma che la consulenza è un lavoro e in quanto tale va pagato. Aggiungo che non è impossibile che si dia la seguente situazione: un aspirante scrittore invia il proprio manoscritto a un’agenzia letteraria; l’agenzia affida il manoscritto a un lettore esterno, il quale compila la sua scheda di valutazione; l’agenzia si rende conto che il manoscritto, sottoposto a un adeguato editing, potrebbe diventare un’opera proponibile a una certa casa editrice, destinata a una certa fascia di lettori, quindi propone all’autore il suddetto editing; l’autore accetta e l’opera, attraverso la mediazione dell’agente, viene pubblicata con soddisfazione di tutti. Le operazioni suddette hanno un costo che viene sostenuto dall’autore, il quale in questo modo abbrevia di molto una trafila lunga e malsicura. Certo, avrebbe potuto, come tutti possono fare, percorrere la via del rapporto diretto con l’editore. Il fatto di avere un’alternativa, quella dell’agenzia letteraria, è un valore aggiunto, un’opzione possibile. In questo modo si consente tra l’altro la pubblicazione di tutta una serie di opere “medie” che contribuiscono a sostenere il mercato. Faccio un esempio concreto: qualche anno fa mi fu affidato da un’agenzia letteraria un manoscritto con una storia solida su cui intervenire mediante aggiustamenti che dovevano esaltarne, per così dire, la leggibilità. Il libro fu poi proposto dall’agenzia a una buona casa editrice e pubblicato con discreto successo. Adesso l’autore ha scritto un altro libro e si è affidato, anche per questo, all’agenzia, che per ovvi motivi si è ri-affidata a me. Vedo tutto questo come uno scambio di servizi che, quando fa capo a profesisonisti seri, non mi pare disonesto. Poi naturalmente esistono i capolavori che si fanno strada su percorsi misteriosi, lungo il filo del caso, e in quel caso non c’è agenzia letteraria o editing che tenga.

    2. Come si legge nelle avvertenze, mi riservo il diritto di cancellare i commenti anonimi su questo blog, quindi cancello un commento lasciato da un agente letterario che afferma di preferire l’anonimato per questioni di conflitto d’interessi (che c’entra?). Io preferisco agire nel nome della trasparenza, il cui primo segnale è l’utilizzo di nome e cognome. Mi spiace.

    3. Anche nel campo della letteratura le cose sono notevolmente cambiate. Una volta scrivere e recensire erano in sintonia. Vi era una comunicazione fra i due ruoli che aveva un non so che di “complicità creativa”. Oggi scrivere sembra sia diventato un hobby e recensire un lavoro sempre più difficoltoso.E’ chiaramente un’impressione.

    4. Ho diffuso i tuoi due articoli su FB e Twitter perché li ritengo interessanti. Tocchi diversi argomenti spinosi. Il mio punto di vista è interno, da agente, da persona che tocca con mano giorno per giorno inediti. La mia agenzia, come molte altre italiane, chiede una fee di lettura, che tu deprechi accostando il mondo editoriale anglosassone a quello italiano. Guardiamo spesso agli USA e al Regno Unito come patrie di autorevolezza sul campo, già questo mi lascia titubante. Se è vero che nello sviluppo tecnologico legato all’editoria è evidente la loro avanguardia, su altri temi possiamo tranquillamente sentirli più giusti o più corretti? Un paio di anni fa mi incuriosiva questa questione e così ho scritto a decine di colleghi NON anglosassoni, quindi a francesi, a tedeschi, a spagnoli, a russi, a brasiliani, a ungheresi, a svedesi, ecc., chiedendo – con un’unica mail standard in lingua inglese (buffo, in inglese, vero?) – di dirmi in breve, come collega italiano curioso sul tema, di raccontare le loro rispettive realtà – particolari e nazionali – sulla fee di valutazione (anche su un altro argomento, qui non c’entra). Che cosa ho scoperto? Quasi tutti mi risposero, realtà del tutto simili a quella italiana, perciò USA e UK rappresentano, per motivi che sarebbe qui lungo dire, un’eccezione rispetto alle nazioni cui avevo indirizzato le mie mail.
      Giusto o non giusto chiedere una fee? Descrivo, non parlo di giusto o non giusto.
      Altro fattore.
      La maggior parte delle case editrici italiane stanno “esternalizzando” tantissimi ruoli da anni, inclusa la scelta di testi da pubblicare (parlo soprattutto delle medie e delle grandi, per le piccole il discorso è diverso). Tanti editori preferiscono scegliere l’attenzione e la professionalità di un agente letterario, per non perdere tempo, per non sprecare risorse umane e di denaro, per parlare alla pari senza doversi avviluppare in questioni marginali e sulle quali non pochi esordienti potrebbero scatenare:
      1- Rabbia.
      2- Senso di frustrazione.
      3- Risentimento.
      4- Nel peggiore dei casi, lettere di avvocati.

      (continua nel prossimo commento)

    5. (vedi sopra il primo commento)
      Non pochi editori cedono volentieri tutto questo agli agenti, anche per un altro semplice motivo: perché pagare un dipendente per leggere la paccottiglia quotidiana che arriva, eccetto qualche raro testo di valore, se può farlo un agente che sarà poi pagato, come l’autore, dopo almeno un anno dalla pubblicazione del testo se non di più e, soprattutto, senza perdere un euro perché i diritti dell’agente sono inclusi nei diritti dell’autore?
      La fee di lettura garantisce agli agenti una difesa da chi, e non sono pochi, tratta con troppa superficialità il proprio testo. Se è gratis ci provano tutti a inviare qualcosa, anche la più indegna materia testuale, domanda: perché perdere tempo con chi non mi tratta seriamente? Se paghi, spazzo via la maggior parte dei superficiali, di chi pensa che la tua professionalità, in quanto gratuita, sia da sfruttare. Poi, dove sta l’equilibrio, 50 euro, 100 euro, 200 euro, 400 euro per una lettura, dipende dall’agente e ci perderemmo in infiniti discorsi.
      A conclusione, dico che un agente ha bisogno del tempo e della necessaria calma per valutare professionalmente un testo e, prima che arrivino gli eventuali diritti d’autore una volta avvenuta la pubblicazione, passa del tempo e un servizio va pagato, la gratuità in Italia, ma non solo come ho detto sopra, viene presa non di rado con superficialità.
      Mi azzarderei invece a far notare che ci sono agenti che chiedono vagonate di soldi, dopo la lettura, per un editing, allungando i tempi all’infinito, questo sì mi fa scaldare il sangue. Se io decido di investire su un testo dopo che mi hai pagato per il servizio di lettura, non ti chiedo più soldi, perché anche se non pubblichiamo ho già guadagnato molto (o vogliamo adesso paragonare allo stesso livello 100-200 euro di lettura a 1000-2000 euro o più per un editing?!). Di recente un mio rappresentato me lo ha fatto notare: “Morgan, perché, diversamente da altri agenti che ho incontrato nel tempo, l’editing al testo dopo la lettura lo fai gratis senza costi aggiuntivi?”, mia risposta: “Perché dobbiamo collaborare, ti voglio sul testo, convinta, fiduciosa che insieme giungeremo per passione alla pubblicazione, poi se farai 10.000 o 100.000 copie ne sarò felice anche per le mie tasche, ma chiederti ora soldi sull’editing spegnerebbe il mio senso di sfida, mi siederei, sarei, economicamente, a posto con me stesso, e invece io ho bisogno di rischio, altrimenti non batto i pugni sui tavoli degli editor!”. Le parole erano circa queste, spero di avere reso l’idea.
      Se ne dovrebbe parlare Rita di più, e fai bene a scriverne.

      1. Discussione a parte, a me risulta che SulRomanzo chieda dagli 800 euro in su per editare un testo.

        Nessuna polemica, ma sul sito dell’agenzia l’editing è a pagamento, tutt’altro che gratuito…

        È forse cambiato qualcosa?

    6. Morgan: 100/200 euro di lettura, dici. L’agenzia per la quale talvolta lavoro ne chiede molti di più. Come fai a rientrare nei costi, quanto paghi chi legge per te? O lo fai personalmente?

    7. Il commento di “aa” va indirettamente a sostenere la mia posizione, evidenziando come (a) ogni agente possa chiedere quanto vuole (b) non vi sia alcun accordo in materia tra professionisti. Ora sto facendo un’altra cosa, ma appena possibile risponderò all’interessante intervento di Morgan (grazie).

    8. @aa per quanto concerne il servizio di lettura della mia agenzia, il costo è di 90 euro, che, tolte le tasse, significa circa 50 euro. Capisci bene che è un valore non proibitivo per una persona, ma per me deterrente verso i superficiali di cui dicevo sopra. Finora ho impiegato il tempo in prima persona, mentre per altri servizi posso contare su alcuni collaboratori. (faccio una annotazione: ci sono grandi case editrici che pagano – spesso in nero – persone esterne per una lettura e scheda d’un testo, quanto? 35-40-50-60 euro, a seconda. Se lo facessi io, come agente, con un collaboratore, rischierei il linciaggio per quella cifra, se lo fa la casa editrice, tutti stanno zitti… e non vado oltre, perché avrei belle storie da dire, ma un giorno lo farò, uhhh se lo farò). 🙂

      @Rita: a- libero mercato, e ci mancherebbe altro, no?
      b- come fa a esserci un accordo se la figura dell’agente letterario in Italia ha una storia per il 99% dei casi assai recente? Quando vi saranno associazioni di categoria allora forse potremo fare discorsi diversi, ma per ora è tutto molto isola direi, isole anzi.

    9. Morgan – Sono d’accordo: in assenza di associazioni di categoria è ben difficile uniformare modalità e costi.
      Per quanto concerne la questione della compilazione delle schede relative ai manoscritti, io conosco casi in cui l’agenzia letteraria paga intorno ai duecento euro a chi le estende; mentre i compensi per l’editing vanno dai milleduecento ai millecinquecento euro, toccando i duemila in alcuni casi particolari. La mia personale esperienza, che si fonda su un lungo rapporto sia con le case editrici sia con le agenzie, mi dice che sovente un’agenzia mostra nei confronti dei professionisti di cui si serve più rispetto (ed elargisce compensi più onesti) di quanto non ne assicurino case editrici anche molto prestigiose.

    10. Cara Rita, bellissimo l’argomento postato. Voglio provare a dire la mia, visto che mi considero un conoscitore del mondo editoriale. E provo anche a raccontare la mia esperienza di scrittore. Dunque: io ho un agente letterario che non mi ha chiesto mai un centesimo, si prende una percentuale sui miei eventuali guadagni(fortuna che ha anche altri autori se no farebbe la fame con me).Mi dà consigli sui testi, crede in me, mi sprona. Un paio di anni addietro ha trovato un buon editore per il mio romanzo, poi finita male con la rescissione del contratto per colpa di quell’editore. (Tu, Rita, sai di cosa parlo)ma ritengo che il mio agente si sia sempre comportato correttamente nei miei confronti e non le attribuisco alcuna colpa. Ora sta provando a piazzare il romanzo presso qualche altro editore. Anni prima contattai un altro agente letterario il quale mi disse che per leggere il mio manoscritto, valutarlo e stilare una scheda chiedeva centomila lire ogni cento pagine. Ritengo che anche questa persona fosse un agente serio. E qui sono d’accordo con Morgan e Michela Murgia. Questo secondo agente, prima che io gli inviassi il manoscritto, volle avere la sinossi del romanzo, per poter valutare in anteprima se valeva la pena di leggerlo o meno. So che da altre persone che si sono rivolte a lui (lei)non ha voluto che gli spedissero il testo. Questo conferma che trattavasi di persona seria. Non erano le duecentomila che gli interessavano….segue

      Salvo Zappulla

    11. Morgan. Grazie di aver diffuso i miei articoli. Sono felicemente sorpresa dell’interesse che si sta creando attorno all’argomento; testimonia come ci sia molto da dire. La considero inoltre come un’eredità preziosa che mi ha lasciato, che ha lasciato a noi tutti, Daniela Bernabò.

      Riguardo alla sudditanza nei confronti di americani e inglesi, probabilmente è una questione di gusti e consonanze. Gusti e consonanze mi portano spesso verso quel mondo (anche evidentemente in fatto di uomini). Poi ovviamente i problemi esistono anche lì; tempo fa, ad esempio, ho avuto una vicenda antipatica con il mio editore americano che non si è risolta nel migliore dei modi.

      Il fatto che quando hai aperto l’agenzia ti sia interrogato sull’opportunità di applicare una reading fee, chiedendo pareri in giro per il mondo, è a mio avviso un importante titolo di merito.
      Ora però perché sia tu, sia Daniele Pinna nei commenti che lascia sul blog di Michela Murgia, sostenete le vostre tesi “al di là” della giustezza o meno della prassi? Nel momento in cui si applica una regola, o addirittura una legge, non è opportuno interrogarsi in primo luogo sul fatto che sia giusta o meno? Io mi assoggetto a una regola perché vedo è giusta, non perché l’ha detto la mamma o il buon Dio, o magari perché lo fanno tutti gli altri. Le ragioni pratiche, a mio avviso, non sono sufficienti (e a quelle che tu opponi la risposta è già presente nel post, o nelle pagine linkate – mi si perdoni l’orrenda parola).

      Riguardo al fatto che in Italia non esistono ancora associazioni di categoria e al vostro, degli agenti, essere isole, ti dirò: cosa aspettate ad associarvi? Solo voi potete farlo, prima di tutto nel vostro interesse.

    12. Ma se le agenzie dovessero passare il loro tempo a leggere gratuitamente le centinaia e centinaia di manoscritti che gli aspiranti scrittori, in stragrande maggioranza di scarso valore, spediscono, non avrebbero più tempo per occuparsi del resto. E allora concordo sul fatto che un’agenzia seria chieda un minimo di compenso per il suo lavoro di valutazione quando si tratta di autori sconosciuti. Altra cosa sono le agenzie che fioriscono in abbondanza con il solo scopo di lucrare su aspiranti e sprovveduti scrittori. Chiedono soldi in anticipo e nel migliore dei casi spediscono questi poveretti da qualche editore a pagamento che provvederà a spennarli ancora. Diffidare da queste pseudo-agenzie e dai corsi di scrittura che, a mio parere, servono a ben poco. La cosa migliore per affinare il proprio talento e leggere, leggere e ancora leggere, confrontarsi con i grandi autori, cercare di carpirne i segreti.Ma se non si ha talento ed inventiva, non ci sono corsi che tengono, nemmeno l’Onnipotente può operare il miracolo.

      Salvo Zappulla

    13. Grazie anche a te, Salvo. Poiché conosco la tua agente e tu per primo affermi che non applica la tassa di lettura, spero che non ti spiaccia se mi permetto di segnalare che costei è tedesca e vive e opera soprattutto in Germania (conoscendo perfettamente l’italiano). Sarebbe interessante sapere, da lei o da altri, come si comportano gli agenti letterari nel suo paese.

      Tu fai riferimento alle pseudo-agenzie che spennano gli sprovveduti e li mandano da editori a pagamento che continuano a spennarli. Allora io mi metto nei panni dell’aspirante scrittore: come fa costui a distinguere l’agenzia seria dalla pseudo-agenzia se (a) entrambe applicano la tassa di lettura (b) non esistono associazioni di categoria con un codice etico e requisiti per appartenervi?

    14. Cara Rita, io credo che un codice etico sia difficile da stabilire, qui non si tratta di vendere auto usate ma arte, non esiste una tariffa base, ma tutto dipende dalla professionalità e dal credito che l’agenzia riscuote presso gli editori. I consigli che ritengo di dare sono.

      1)Diffidare dalle agenzie che mettono annunci per cercare autori. Le agenzie serie non ne hanno bisogno. Anzi, tendono a respingere

      2)Diffidare dalle agenzie che propongono in generale lavori di editing, corsi, controcorsi,fazzolettini ai semafori, servizi vari. Non è compito loro( o meglio, è una cosa che può subentrare dopo, quando si è stabilito un rapporto di fiducia tra le due parti). L’editing va discusso con l’editor della eventuale casa editrice con cui pubblicare il romanzo.

      Salvo Zappulla

    15. Salvo: “L’editing va discusso con l’editor della eventuale casa editrice con cui pubblicare il romanzo.” Ci sono anche dei casi in cui l’agenzia intravede una possibilità di pubblicazione e valuta che per essere presentata all’editore l’opera deve essere sottoposta a un editing, così si serve di un professionista affidabile che fa il lavoro.

    16. Sì, ma se chiede duemila euro per fare quel lavoro, si capisce subito che c’è puzza di bruciato. Quante copie dovrebbe vendere quell’autore per recuperare in diritti d’autore i soldi sborsati? Si presuppone che stiamo parlando di un esordiente. E in ogni caso l’editing varia a seconda dei gusti personali. Un editing fatto da un esperto potrebbe non interessare all’editor di quella casa editrice. Parlo di editing. Se poi il testo necessità di una grossa revisione, in quanto scritto male, sgrammaticato, prolisso, poco affabulatorio, questo è un altro genere di lavoro.

      Salvo Zappulla

    17. 90 eurini per dare un’occhiata a un testo che 99 volte su cento puoi buttare tranquillamente nel cesso dopo pagina 1, mi pare niente male. Confermo che la penosa circolazione di manoscritti, serve solo ad alimentare l’ego dei tanti poveretti che aspettano la svolta, e a fare da cuscinetto idraulico ai libri che escono in libreria, tuttavia senza vendere, se non agli scrittori in aspettativa… dando vita a un circolo vizioso assolutamente farsesco. Perché il problema è proprio questo, che i libri vendono poco, mediamente parlando, e che gli scrittori, così a occhio e croce, non riescono quasi mai a vivere del proprio lavoro. Insomma, pubblicare, ai più, serve per ottenere credito in famiglia e in società, magari nella società letteraria o dello spettacolo, dove avranno più possibilità di inserirsi professionalmente (faccio cose, vedo gente, scrivo…). Senza contare gli ambiti universitari, dove si ottiene credito per i concorsi proprio pubblicando libri che nessuno legge.

      Confermo che se gli agenti o gli editori mi vogliono sanno dove trovarmi (ma avverto, costo caro). E che sarebbe meglio la lotteria, più redditizia anche per gli editori stessi, vedi la mia epistola sesta:

      http://accademia-inaffidabili.blogspot.com/search/label/Epistole%20agli%20editori

      Ps: ciao Rita, e grazie, anche da sua russità.

    18. Per me un agente letterario serio è quello che scommette su un testo individuato nel marasma di minchiate in perpetuo arrivo (ma per le quali bastano scorse di pochi minuti, se si ha l’occhio esercitato) e pretende una giusta percentuale sulle royalties maturate dall’opera solo DOPO la pubblicazione. Sono buoni tutti a leggere testi a pagamento senza provvedere alla loro collocazione editoriale (per tutti intendo anche dei normali laureati in lettere). Evviva Amanda Hocking, che dopo una sessantina di rifiuti editoriali, si è rassegnata al self publishing, ma è diventata presto miliardaria mettendolo elegantemente nel didietro a tanti editor spocchiosi e cretini.

    19. Il lavoro dell’agente, mi pare, è di supportare l’autore e di farlo pubblicare. Nel momento in cui l’autore riceve un pagamento per la pubblicazione si certifica l’efficacia del lavoro dell’agente – e quindi egli riceve il suo emolumento.
      Leggere manoscritti è un lavoro, certo. Ma l’agente lo fa di passaggio. Il suo interesse è far pubblicare il manoscritto. Se il pagamento avviene già dopo la lettura, o dopo la compilazione della scheda di valutazione – che interessa ha più l’agente a far pubblicare il manoscritto? Tanto i suoi soldi li ha già presi… Il lavoro che fa non è più quello di agente, se prende soldi per leggere, bensì, al massimo, di lettore competente.

      Siamo sullo stesso piano di distinzione concettuale tra coloro che lavorano come editori (e ricevono il proprio pagamento dalle vendite in libreria) e coloro che lavorano come tipografi, e ricevono il proprio pagamento già nella fase dell’uscita dei volumi dalla tipografia: essendo già stati pagati, che interesse hanno più i tipografi a mettere altro impegno nella promozione/distribuzione/vendita dei libri?

      Non è l’a b c dell’editoria?
      Forse no, se si deve tornare ogni volta a ripeterlo.

    20. Cara Rita,
      alla tua domanda come è la prassi tra i miei colleghi in Germania, posso dirti che anche qui esistono delle agenzie che chiedono “reading fees” … in alcuni casi.
      Cioè ci sono degli esordienti che da quegli agenti sono considerati “rischi di perdita di tempo” (per quanto riguarda la lettura) e devono pagare; e ci sono degli autori giá pubblicati – magari con un discreto successo avendo quindi giá dato la prova della loro abilità – ma orfani di agente che sono corteggiati dalle agenzie.
      È vero che, come dice Salvo e come hanno detto anche altri qui, la valutazione occupa sempre più tempo perché sono numerosissimi gli autori che inviano i loro scritti.
      Non essendo una grande agenzia, io personalmente sono costretta a ridurre la massa dei testi già molto all’inizio applicando dei principi che possono anche essere interpretati come superficiali; p.es. riflessioni come “è richiesto questo argomento / questo genere al momento?”. Spesso è difficile per me spiegare all’autore italiano che il tema in sè è senz’altro interessante, ma se sul mercato ci sono già pubblicazioni affini, scritti da autori già noti (come autori o – ahimé! non diversamente dall’Italia – personaggi medatici), le editrici tedesche rifiutano subito.
      Se il tema / genere sembra interessante mi inoltro nella sinossi e poi nel testo.
      Ma francamente a questa fase ci arrivano pochissimi.
      Devo confessare – anche se è una conferma del concetto “un santo in cielo” (che comporta ovviamente una grande ingiustizia) – di essere più disposta a visionare il testo di una persona, anche esordiente, che mi arriva tramite uno dei miei autori. In questi casi posso essere sicura che ha già superato un primo esame di qualità, appunto dall’autore di cui mi fido. E il fatto che quell’aspirante mi è stato consigliato da un autore, gli dà una certa credibilità anche perché si sta già muovendo in quei circoli letterari dove molto probabilmente è stato costretto a confrontarsi con la scrittura altrui e avrà acquisito così una certa sensibilità per gli elementi da rispettare e osservare nella scrittura.
      (Pure per aver conosciuto i testi preziosi di Salvo devo ringraziare il nostro comune amico Roberto!)
      In generale lo reputo più sincero rifiutare (e purtroppo deludere) uno scrittore aspirante in questo modo, che creargli delle speranze vane chiedendo soldi per la lettura che ha per conseguenza un rifiuto, ma ovviamente è un dilemma che ogni agente dovrà risolvere in accordo con la sua coscienza professionale.
      Agente tedesca

    21. Posso anche considerare “Agente tedesca” come uno pseudonimo e quindi mantenere il commento, anche perché di grande interesse; ma perché non ti sei firmata?

    22. Salvo. Grazie della precisazione in merito all’editor esterno all’agenzia, anche perché basata su dati concreti. Juliane Roderer non vuol proprio firmarsi, eh? 😉

      Paolo Ferrucci. Grazie dell’apprezzamento.

      Larry: vado a leggermi le epistole, sono molto curiosa. Ancora saluti a S.R.

      Lucio Angelini. Sono ovviamente d’accordo.

      Guido Teodoldi. Grazie per il paragone con l’editoria a pagamento, che mi sembra pertinente ed è stato sollevato anche altrove, suscitando reazioni scomposte. Aggiungerò una cosa. Coloro che difendono a oltranza la tassa di lettura riescono a sostenere con un minimo di validità un solo argomento, perché tutti gli altri crollano miseramente: è un lavoro quindi deve essere pagato. Ma il punto è che tale lavoro si svolge all’interno di (o in collusione con) un’agenzia letteraria il cui scopo è promuovere scrittori, non valutare scritti. All’aspirante romanziere che si rivolge all’agente, in realtà, della “scheda di valutazione” non frega un bel niente. A lui fregherebbe solo di essere pubblicato e se si rivolge a un agente e non a uno scrittore per un parere sul suo libro è perché spera NON che il suo libro sia valutato positivamente, MA che sia pubblicato. E’ questo il nodo, a mio parere; ciò che rivela l’esistenza di un problema.
      Anche a me, come a lei, sembra l’a b c; ma che ci vuoi fare?

    23. Rita,per cortesia. Juliane è una persona molto riservata, non bisogna dirlo che il commento è di Juliane Roderer

      Salvo Zappulla

    24. Il punto è: come fa l’autore sconosciuto, senza uno straccio di raccomandazione, un politico che gli faccia da padrino, a pubblicare con un grosso editore? Cioè uno disposto a investire su di lui, distribuire il romanzo su territorio nazionale e promuoverlo?

      a) Invia il manoscritto. Al 90% dei casi non viene letto.

      b) Si rivolge a un’agenzia letteraria che faccia da tramite. Ma le agenzie di peso, quelle che hanno un certo potere sul mercato editoriale, sono restie a perdere tempo con gli sconosciuti, preferiscono consolidare il proprio parco autori con gente già affermata, magari sottraendola alla concorrenza. Tuttavia non è una regola, sia gli editori che le agenzie hanno sempre il timore di farsi sfuggire il capolavoro del secolo da sotto il naso e rimediare la figura dei fessi. Quindi può darsi che una sbirciata la diano.
      E allora cosa rimane da fare al povero autore sfigato? Suicidarsi? Prendersela con il mondo infame che non gli riconosce il talento inespresso?

      Può cominciare a farsi conoscere scrivendo sui giornali, magari su un piccolo quotidiano locale, o intervenendo nei blog culturali. Internet dà visibilità a tutti. Poi è consigliabile vedere bene le collane dei medi e piccoli editori, informarsi su come operano, quali sono le loro richieste, visitare le fiere, partecipare a qualche concorso letterario. Le case editrici sono aziende che producono libri e hanno interesse a trovare nuovo materiale. Non è vero che nessuno legge e anche se la maggioranza degli scrittori non si arricchisce con i libri, può guadagnare e arrotondare il proprio stipendio. Ma non credo sia la molla principale (il denaro) che spinge a scrivere.

      Salvo Zappulla

    25. Cara Rita, un altro articolo interessantissimo, chiaro e completo di cui ti ringrazio. Io sarei pronto a giustificare la tassa di lettura, grande o piccola o simbolica che sia, solo di fronte all’evidenza di un lavoro tangibile da parte dell’agenzia. Faccio un esempio. Se verso sul CC dell’agenzia 100/200/600 euro come tassa di lettura, mi aspetto di ricevere oltre al quasi sempre NO, in risposta alla domanda: “Mi rappresenterete?”, anche una scheda approfondita del mio testo, delle motivazioni dettagliate, un’analisi di tutti gli aspetti che spieghi il perché della decisione. Questo significa leggere attentamente tutto il manoscritto, lavorarci su, “perderci” tempo. Se un’agenzia per leggere e dire NO e nient’altro se non un in bocca al lupo o, ancor peggio, buona vita, chiede denaro, non ci sto.

      1. Grazie a te, Matteo. Il mio consiglio comunque è di cercare di farsi dare pareri sulla propria scrittura anche esterni alle agenzie letterarie (e possibilmente gratuiti). Mi sembra interessante quanto dice l’agente tedesca in un commento precedente: lei dà maggior credito agli aspiranti scrittori che le vengono consigliati da autori già pubblicati, perché questo dà loro una certa credibilità: vuol dire che “l’aspirante si sta già muovendo in quei circoli letterari dove molto probabilmente è stato costretto a confrontarsi con la scrittura altrui e avrà acquisito così una certa sensibilità per gli elementi da rispettare e osservare nella scrittura”. Molte persone che vogliono scrivere se ne stanno sole a casa e non si confrontano con nessuno. La relazione a distanza con una qualsivoglia entità che analizzi il tuo lavoro per iscritto, da lontano e senza mai vederti in faccia non fa, a mio parere, che enfatizzare questa tendenza.

    26. Altra cosa importante che dimenticavo: inviare insieme al manoscritto una lettera di presentazione garbata, con un curriculum breve e chiaro. A volte la gente, pur di darsi tono, scrive le cose più assurde. Mi è capitato di leggere in una lettera di presentazione: “Il sottoscritto Mario Bianchini ha fatto il chierichetto al prete che ha assistito alla lacrimazione della Madonna a Siracusa…”

      Salvo Zappulla

      1. Grazie, Salvo, di questo e del precedente contributo. Questo in realtà è solo il secondo di una serie di articoli che intendo dedicare all’argomento, e prossimamente mi dedicherò proprio alla lettera di presentazione: ne vedremo delle belle.

    27. Signori miei, io vado dai maghi una volta ogni due settimane, per farmi divinare il passato. Ora, non vi dico quanto mi costano tutti i merlini e le merline che vo frequentando. Pazienza se brucio, per un agente in bolletta, cento euro onestamente sudati alle schedine o pazientemente rastrellati dietro i rimbalzi della fortuna… capisco che un agente letterario dallo sguardo scorcio e con la nausea per tutto ciò che è scritto a parole, mi liquidi dopo mezzo minuto di lettura. Facciamo a capirci: ho un libro di Cormac McCarthy sdraiato sul comò a pagina 37 da almeno un anno e mezzo… io non ci posso fare niente se quel libro non si fa leggere. E’ colpa sua, mica mia.
      Se un povero scrittore come me scrive come scrivo io, da schifo, e poi coi soldi che gli avanzano dai tarocchi e dalle nefandezze decide di devolvere 100 euro agli agenti letterari per stare in trepidazione qualche giorno nell’attesa di un telefonico sì, e quel libro (come tutti i miei) fa schifo già alla terza riga (io mi gioco tutto nelle prime due righe) non posso biasimare l’agente, sottopagato tra l’altro, se lo lascia ansimare lì come un cane investito nella strada… perché dovrebbe sbocconcellarselo tutto quando già dalla terza fatidica riga il mio libro gli fonde tra le mani? sarebbe ancora più insulso di quanto generalmente si pensa.
      Me la prendo con me stesso d’aver creduto di nuovo alle pubblicità dei canali locali, perché è il sistemino ad esser furbo ed io ad esser un illuso.

      Sono insomma d’accordo con chi inforca colla sua biciclettina le vie traverse che l’editoria sta prendendo, come quelle offerte dal web, o da altre forme di promozione del libro, come la vendita porta a porta: ci si potrebbe fingere rappresentanti del grande scrittore Tale (tanto la gente più di Saviano non conosce) e di voler vendere il libro ciclostilato autonomamente in abbinamento con un fustino di detersivo per sgrassare i piatti. Io un abito buono lo tengo, se non mi s’è fatto piccolo.

      Altrimenti, e lo dico seriamente (non che prima scherzassi), le case editrici stanno bene là a girare le rotative, e noi qua a girarci i pollici. (questa la trascrivo paro paro dal Perfetto manuale dello sfigato – Adele, Milano, 1967).

      Un saluto a tutti

      1. Caro Dinamo, non ti buttare giù: altro che schifo, ho molto riso leggendo il tuo commento. (Per quel che può valere la mia risata, ovviamente.) Frequenterò il tuo blog con sicuro godimento. Un abbraccio e in bocca al lupo per tutto.

      2. Ti ringrazio Rita delle belle parole, sai bene che sti scrittori son così vanesi (io vane…ggio più che altro)… verrò spesso anche io a farti visita, come faccio da qualche tempo in questo tuo bel blog.
        Un abbraccio anche a te e alla bella compagnia.

    28. OT

      Rita, mi piacerebbe tu dicessi la tua sul post che ho pubblicato oggi, in particolare sulla questione Carmelo Bene. Ovviamente puoi togliere questo commento, che non c’entra nulla con la discussione. Saluti.

    29. Rita, grazie per i due bellissimi post sulla figura degli agenti letterari. Mi sono permesso di linkare il tuo blog sul mio (è ben poca cosa, lo so!).
      Ecco i miei 50 centesimi sull’argomento, spero di portare un contributo interessante, vissuto sulla mia pelle.

      Da tempo sto cercando di trovare un agente che sia per me un socio, non un editor. Pubblico con una casa editrice locale, ma cerco una persona che “venda” ciò che scrivo, a tutti i livelli. Chiarisco quindi subito che a me non serve uno “scrittore ombra”, ma un “manager”.
      Per l’editing mi baso su 4/5 amici che leggono il testo quasi pronto. Non sono professionisti, ma semplici lettori, e questo mi offre il polso della cosa, perché io mi rivolgo a lettori, non a professionisti.
      Volevo un socio, dicevo. Qualcuno che avesse ciò che io non ho: la capacità di managment di me come autore. Non sono in grado di prendere contatti o propormi, ed ero (e sono) disposto a pagare il 30% di ciò che guadagno (qualsiasi forma di guadagno). Il socio, ovvio, dovrebbe credere in me, e per credere in me dovrebbe conoscermi mettendo in moto la sua raffinata intuizione: basterebbe utilizzare 30 minuti del proprio tempo per leggere almeno le prime 10 pagine dei miei romanzi.
      Bene: non ho trovato nemmeno un potenziale socio con 30 minuti di tempo libero. Tutti mi hanno chiesto denaro per la lettura del manoscritto, giustificando la richiesta 1) con la propria professionalità e il proprio tempo da retribuire 2) con la redazione di un’accurata scheda sull’opera (di cui non ho affatto bisogno).

      La logica mi ha portato a concludere che molti degli agenti letterari vivono con i soldi di chi NON riesce a entrare nel mondo dell’editoria piuttosto che guadagnare con chi è già arrivato.
      Per cui in molti casi la figura dell’agente letterario mostra alcune sinistre analogie tratte dal mondo della natura con quella creatura che trovando poche prede vive è costretta a nutrirsi delle carogne.

      Il problema è che secondo me si parla genericamente di “agenti letterari” quando invece si dovrebbe fare una distinzione tra due ruoli distinti: l’Agente letterario “Scout” (difficilissimo da trovare), e l’Agente letterario “Editor Esterno” (a un soldo la dozzina). Questi ultimi in realtà non sono dei manager, ma degli aspiranti scrittori. Una categoria pericolosissima e nociva, perché fanno da filtro tra gli autori e il pubblico, imponendo uno sguardo piuttosto stantio e preordinato sull’arte.

      Sarebbe fuori luogo spiegare qui cosa intendo con questa differenza, ma per coloro a cui interessasse, mi permetto di rimandare al resoconto di un colloquio reale che ho avuto con un agente letterario diverso tempo fa:
      http://nelsemedelpadre.blogspot.com/2012/01/caccia-di-un-agente-letterario.html

      Ti saluto caramente.

      1. Caro Jo, grazie del commento e non buttarti giù: il tuo blog non è poca cosa. Grazie, quindi, anche di aver aggiunto “Non solo Mozart” al tuo elenco personale. Sugli errori più comuni da evitare nel porsi a un agente letterario (secondo me e solo secondo me, naturalmente) pubblicherò un altro post entro la settimana. Ho letto il tuo “A caccia di un agente” e comprendo la frustrazione di chi si trova solo a casa con il proprio scritto, e non sa bene cosa e fare e come, e ha paura di mettersi in mani altrui. Le paure sono comprensibili e dobbiamo accettare di averne. Perché non dovremmo averne? Il punto è, mi sembra, che le nostre paure non andrebbero esposte al diretto interessato, ma tenute per noi e pochi intimi. Perché tanti distinguo, se e ma, io voglio questo ma voglio anche capire se voi siete in grado di darmelo…? Queste non sono buone premesse per un rapporto di fiducia. Uno dovrebbe semplicemente dire: ho scritto questo libro, parla di questo, ho una sinossi di 3 pagine, ve la posso mandare in modo che poi possiate valutare se leggere il manoscritto intero? Non entrerei tanto in questioni “valore letterario versus valore commerciale” e soprattutto non cercherei in ogni modo di spiegare il mio punto di vista. Con ciò non intendo dire che ti sei mosso male, non mi permetterei mai, anche perché non ho la più pallida idea di chi sia stato il tuo interlocutore e non voglio nemmeno saperlo. Però magari, la prossima volta – e ti prego di far sì che ci sia una prossima volta, non arrenderti MAI – prova a mettere avanti solo e semplicemente il tuo lavoro. E ribadisco: cerca un modello in inglese, con una chiave di ricerca tipo “literary agent query letter”. Non copiare, ovviamente, ma interpreta, tenendo presente i princìpi che informano questo tipo di corrispondenze. A presto e un affettuoso in bocca al lupo, Rita

      2. Hai ragione Rita: cercare di fare filosofia sulla propria opera è come cercare di spiegare una barzelletta per sollecitare la risata: è da disperati.
        Però non volevo piazzare il mio libro (era già piazzato): volevo un socio e tentavo di capire se il mio interlocutore era disposto allo scouting o era un altro piazzista di libri.
        Credo che sia questa la differenza tra il modo di fare anglosassone (l’agente che punta a curare l’autore) e il modo di fare nostrano (l’agente che punta a collocare un prodotto).
        Il primo può fare a meno della tassa di lettura perché è interessato ai futuri guadagni dell’autore. Al secondo non interessa il futuro dell’autore (forse perché sa che non ci sarà alcun futuro). Per cui pochi, maledetti e subito. 🙂

    30. stupendo tutto quello che ho letto qui. Veramente.
      Infatti non torturerei nessuno facendolo leggere 350 pagine cosi, perché penso di avere una possibilità, o semplicemente il diritto. Ma dove e come posso incontrare un editor professionista che si prenda la briga di leggere un mio scritto breve???

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