Editing per asini

Il ruolo dell’editor si riduce al mettere a posto i congiuntivi nel testo?

Ieri ho comprato su Amazon un romanzo cartaceo — pubblicato “in modo indipendente”, ossia in self-publishing — che vanta numerose recensioni positive. Una di queste, d’altra parte, si conclude con la seguente precisazione: «Nel testo sono presenti molti refusi e anche diversi, talvolta grossolani, errori sintattici. Un buon lavoro di editing l’avrebbe molto migliorato».

Allora. E lo dice una persona che da poco ha creato una struttura che offre servizi editoriali, tra i quali è contemplato il buon (si spera) “lavoro di editing”.

Allora: una persona che commette grossolani errori sintattici è una persona che, prima di scrivere qualsivoglia testo, dovrebbe imparare a non commetterne.

Understood? Mi spingerò ancora più lontano. Una persona che commette grossolani errori sintattici è una persona che non scrive bene.
(E che quasi certamente legge a stento.)

E come si può imparare a non commettere tali marchiani errori? Ad esempio, che so, rivolgendosi a un professore di lettere in pensione e prendendoci accordi in merito a un congruo numero di lezioni private di sintassi. Alla fine, amici miei che aspirate alla fama letteraria, questo vi costerà meno che pagare un “esperto di sintassi” per sistemare il vostro scritto. E vi darà una soddisfazione ben maggiore.

Sbaglierò, e andrò contro i miei interessi, ma a me sembra bizzarro questo universo che si sta delineando, nel quale da una parte c’è gente che scrive e paga, dall’altra gente che intasca per rendere leggibile lo scritto. Il lavoro di editing non dovrebbe ridursi a mettere a posto i congiuntivi. L’editor dovrebbe interagire con l’autore; tra i due soggetti dovrebbe venire a crearsi un confronto creativo, a un livello ben più alto.

E poi, una certa, sempre più diffusa forma di arroganza (dovuta, secondo alcuni e anche secondo mio zio, al decadimento della scuola italiana dagli anni ’70 del secolo scorso a questa parte) porta gli aspiranti romanzieri a ritenere che il “valore” della loro opera sia un fatto del tutto indipendente dalla loro incapacità di amare e rispettare la lingua italiana.

Qui non si tratta di imparare a memoria sterili regole nemiche della creatività. Al contrario: si tratta di capire, cercar di analizzare e di rielaborare sulla base della logica. Che no, non è il contrario dell’arte.

Se ti sfugge la struttura di una frase, amico/a mio/a, come puoi padroneggiare la struttura di un racconto? E credimi, puoi migliorare; sempre si può migliorare, tutti hanno bisogno di migliorare, in primo luogo la disgraziata che ti rivolge questo appello. Ma il fatto che invece tu, nel tuo narcisismo e nella tua ignoranza, ti ritenga un Leopardi in pieno diritto di snobbare la consapevolezza del soggetto di una proposizione e, anziché tentare di capire e far girare le meningi, preferisca pagare qualcuno che renda appetibile il tuo piscio, francamente non mi torna.

Scrivere è riscrivere. Il che vuol dire risistemare tutto, più di una volta, e non solo la lingua; anche e soprattutto la costruzione dell’opera, la sua chiarezza, la necessità di ogni singolo dettaglio. Pisciare va benissimo; oltre che un bisogno fisiologico, è uno dei metodi utilizzabili per le prime stesure dei testi. Ci sono autori che programmano attentamente ogni minuzia, altri che lasciano correre libera la mente, e parlare l’inconscio. Ma in ogni caso, tutti devono riscrivere; il piscio va filtrato, bollito, travasato, e al termine del processo può persino alchemicamente venire a trasformarsi in un vino pregiatissimo.

Che tu, invece, voglia restare nella tua cameretta cullandoti nell’illusione che la “bellezza” e la correttezza linguistica del tuo imperdibile romanzo siano cose del tutto indipendenti, e che sia sufficiente pagare un meschino seguace delle regole (oh, che banalità le regole, l’arte è il contrario delle regole) perché le tue preziosità siano portate al livello delle fredde “richieste del mercato”, non solo non mi torna, ma è una ca**ata micidiale.

C’è qualcosa di molto poco trasparente nell’attuale fioritura di agenzie di editing. Okay, esiste la crisi, ma anche l’etica esiste, stimabili colleghi.

Leggi il divertente commento di Gaia Conventi a questo mio articolo.

About

Questo è il sito di Rita Charbonnier, autrice dei romanzi Figlia del cuore (di prossima uscita per Marcos y Marcos), La sorella di Mozart (Corbaccio 2006, Piemme Bestseller 2011), La strana giornata di Alexandre Dumas e Le due vite di Elsa (Piemme 2009 e 2011). Scopri di più...

6 commenti su “Editing per asini

  1. Se poi ci si mettono anche le grandi case editrici (vedi Rizzoli) che premiano libri autopubblicati (concorso 20 Lines) solo perchè l’autrice ha ottenuto il maggior numero di Like… allora siamo messi male.

    Il testo originale era illeggibile. Sul serio.

    Prima di fare gli editor bisognerebbe ri-fare gli scrittori. E i premi. E le case editrici.

    Qualunquismo? Banalità?

    1. Non ho informazioni sull’iniziativa di cui parli… riguardo a quel che bisognerebbe fare, personalmente preferisco riferirmi a ciò che conosco per esperienza personale 😉

  2. Complimenti per l’articolo, condivido in pieno ogni singola parola.
    Ho la passione per la scrittura e fino a ora sono riuscita a farmi pubblicare (non pagando e non self, tramite vera e propria selezione) alcuni racconti da piccole case editrici. Contraria all’autopubblicazione e al pagare per pubblicare, sono dell’idea che se vuoi davvero diventare uno scrittore professionista, devi farti il mazzo.
    Bellissima questa parte: “Se ti sfugge la struttura di una frase, amico/a mio/a, come puoi padroneggiare la struttura di un racconto?” Credo che se non conosci in primis le regole sintattiche e grammaticali non puoi fare lo scrittore. Non puoi, perché significa anche che a) non leggi e la lettura, secondo me, deve essere il pane quotidiano di chi vuole scrivere per professione, e b) non hai la passione, perché se l’avessi di certo avresti voglia di imparare e migliorare sempre di più.
    Accidenti, come sono prolissa! Tutto questo per dire che sono d’accordo con il contenuto del testo e fare i complimenti!

  3. Cara Rita, leggendoti ripensavo al libro di Tom Wolfe “Il successo in arte”, un meraviglioso imperdibile pamphlet che pone esattamente lo stesso problema nelle arti visive. C’è stato un momento in cui le Chiese dell’Arte -come T.W. definisce le varie conventicole di critici – sostenevano che l’idea viene prima dell’azione. In sostanza, un’arte per essere tale non deve essere ben fatta, ma semplicemente deve essere pensata. Per essere artisti basta pensarlo: non è necessario conosce l’alfabeto e l’abbecedario – visivo o letterario che sia- l’arte esiste in se stessa e imparare le regole significa snaturarne la natura superiore. Le conventicole hanno avuto la meglio per parecchio tempo, ma pian piano la storia ha dato ragione a Tom Wolfe e molti di quegli artisti sono caduti nel dimenticatoio…così come verranno miseramente dimenticati i libri mal scritti. Consoliamoci così!

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