Cinque domande a Carla Forcolin

Parla l’autrice di Mamme dentro, edito da Franco Angeli

Veneziana, insegnante di lettere in pensione, Carla Forcolin ha fondato l’Associazione “La gabbianella e altri animali” per l’adozione e l’affidamento familiare ed è autrice di diverse pubblicazioni. La questione della tutela dei legami affettivi dei bambini più sfortunati è il faro delle attività della Gabbianella ed è anche al centro del suo primo libro: Il gabbianello Marco e altri animali. L’autrice vi narra il doloroso distacco tra un bambino e la persona che se n’era presa cura, una donna divorziata, che quindi non avrebbe potuto adottarlo.

MAMME DENTRO di Carla Forcolin

La Gabbianella ha lanciato diverse petizioni nelle quali si chiedeva che fosse modificata la legge che regolamenta l’adozione e l’affidamento. E alla fine dello scorso anno ha ottenuto un grande risultato: è entrata in vigore una norma secondo la quale i bambini che vengono dichiarati adottabili mentre sono in affidamento possono essere adottati anche dalle famiglie affidatarie che già li stanno crescendo. Purtroppo non si è riusciti a estendere questo diritto anche ai bambini presi in affido da singles o coppie di fatto, ma si è trattato di un fondamentale passo avanti.

Nel 2004 Carla Forcolin è divenuta affidataria in prima persona di due bambini, figli di una detenuta. Da allora non ha più smesso di occuparsi dei figli incolpevoli dei carcerati, che trascorrono l’infanzia all’interno degli istituti di pena e inevitabilmente ne risentono. Ed è questo l’argomento del suo nuovo libro, Mamme dentro. Figli di donne recluse: testimonianze, riflessioni e proposte (Franco Angeli).

Carla, prima di tutto ti pregherei di spiegarci in breve cos’è l’affidamento familiare — si tratta di una realtà forse non abbastanza conosciuta — e in particolare, che cos’è l’affidamento diurno.

L’affidamento è quell’istituto in base al quale, quando un minore non può vivere per un certo periodo nell’ambito della propria famiglia, gli viene offerta una famiglia sostitutiva nella quale crescere, essere educato e curato in attesa di tornare dai “suoi”. L’affidamento dovrebbe durare due anni, eventualmente prorogabili, secondo la legge 184/83 come modificata dalla legge 149/01. Purtroppo però il 60% degli affidamenti supera questo tempo e allora l’affidamento, che spesso è consensuale (cioè accettato dalla famiglia d’origine) e gestito dal Servizio Sociale, anche se ratificato dal Giudice Tutelare, diviene giudiziario. È quindi di competenza del Tribunale per i Minorenni (già competente nei casi in cui il minore venga sottratto alla famiglia d’origine contro la volontà della stessa).

Esistono varie forme di affidamento, tra queste l’affidamento diurno, che prevede di affiancare una famiglia o singola persona affidataria alla famiglia naturale di un minore, i cui genitori non sono in grado di tenerlo con sé e di seguirlo durante il giorno, mentre possono stare con lui di sera e di notte. A Venezia, per divenire ufficialmente affidatari diurni, basta offrirsi per 15 ore settimanali.

Perché hai scritto questo nuovo libro? Da quale esigenza è scaturito?

Carla Forcolin
Carla Forcolin

Volevo che non si perdesse il lavoro e la memoria del lavoro fatto fino ad ora dall’Associazione “La gabbianella e altri animali” nel Carcere Femminile della Giudecca, perché si tratta di un lavoro enorme (ancor più grande di quanto non possa apparire dalla lettura del libro). E volevo lasciare questa testimonianza proprio perché desidero che l’Associazione cambi natura, diventi cooperativa, e io possa smettere di esserne la presidente. Questo libro voleva essere un po’ il mio “canto del cigno”.

Ma questa motivazione non sarebbe bastata a farmi fare la fatica di scrivere il libro se nel frattempo non fosse entrata in vigore la legge 62/2011, dove, per non separare i bambini dalle mamme, si sono pensate delle regole attuabili solo in parte. Non si vorrebbero più i bambini in carcere ma, nei nuovi “Istituti a Custodia Attenuata” (ICAM) che la legge ha voluto, i bimbi non possono di certo uscire con le madri e vivono in situazioni in cui l’ambiente che li circonda non sembra un carcere, ma la sostanza dei rapporti è quella in cui le madri dipendono comunque dalle agenti e dalle puericultrici, educatrici, ecc. e sono private della libertà. I bambini lo capiscono benissimo. In questa situazione di carcere attenuato e “camuffato” i bambini possono stare ora fino a sei anni e non fino a tre, come prima, e a me questa scelta pare un furto dell’intera infanzia dei bambini. Tanto più che non è previsto con chiarezza che essi debbano andare all’asilo e alla scuola materna esterni.

Si vorrebbero sistemare mamme e bambini nelle case famiglia, ma non tutte le madri vi potranno andare (chi è pericolosa deve rimanere in carcere) e quindi i bambini resteranno in carcere o negli ICAM. A mio avviso era meglio che essi potessero uscire a tre anni anziché a sei. La mamma avrebbero comunque potuto vederla anche se posti in affidamento, nei rari casi in cui non avessero un padre o dei parenti. Io proporrei di far uscire i bambini e farli stare “dentro” con la mamma, magari anche a dormire, solo nel fine settimana. Un’altra proposta possibile è quella dell’affidamento diurno: di giorno fuori in una famiglia che provveda anche a portarli all’asilo o a scuola, e di notte con la mamma.

A chi è rivolto il libro? Agli operatori del settore (psicologi, assistenti sociali, avvocati…) o anche a chi intenda accostarsi a questo mondo?

Il libro è rivolto a tutti, per questo ho cercato di renderlo comprensibile e di arricchirlo con testimonianze che sono pennellate interessanti di per sé, almeno spero; ma l’ho scritto principalmente per i politici, perché essi riflettano sulle mie proposte.

senato
Un momento della presentazione del libro presso il Senato

Che cos’è per te la famiglia, e in quale direzione ti sembra si sia evoluta negli ultimi decenni?

La famiglia è il luogo degli affetti, dove si convive in intimità. Nella maggior parte dei casi ci sono ancora padre, madre e figli, ma molto spesso ci sono due o più persone non legate da vincoli di matrimonio e parentela biologica che si vogliono bene e si sostengono a vicenda. Per me sono famiglie anche quelle. Poi ci sono le famiglie monogenitoriali, quelle allargate, quelle adottive, quelle affidatarie, le famiglie omosessuali, ecc. Io credo che dove i rapporti sono basati sull’amore e sulla verità e si raccontano ai bambini le cose come stanno, tutte le forme di convivenza e reciproco sostegno possano andare bene. È per questo che, ricordando Sepulveda, ci chiamiamo “La Gabbianella”, nome ispirato a un racconto nel quale un gatto ha fatto da madre a una gabbianella e le ha insegnato perfino a volare.

Quali sono i principi fondamentali ai quali credi debbano essere informate le azioni a favore dei bambini sofferenti?

I bambini sofferenti nel nostro paese e nel mondo devono in primis essere messi nelle condizioni di sopravvivere e crescere, poi hanno diritto alla salute, alla famiglia, all’educazione, all’espressione dei loro sentimenti e del loro pensiero, al gioco, alla libertà e soprattutto all’amore. Al pane e alle rose, si sarebbe detto un tempo. Ogni essere umano dovrebbe avere tutto ciò, i bambini sono parte dell’umanità. Ci sono solenni dichiarazioni di diritti, da quelli dell’uomo, inteso come essere umano, a quelli del fanciullo nella convenzione di New York, ma vengono attuati solo in alcune parti del mondo e sporadicamente. Se fossero sempre attuati avremmo un mondo perfetto. Se non ci fossero le guerre, se non ci fossero le dittature, se non ci fossero gli integralismi, se non ci fossero le diseguaglianze, lo sfruttamento, la povertà, le mafie e tutto il male che c’è sulla nostra povera terra, anche i bambini sarebbero molto più felici.

I bambini che crescono in carcere sono deprivati di esperienze di vita e di rapporti (il padre, i nonni, i fratelli, gli amici, ecc) mentre sono costretti a vivere sempre con la madre che soffre, e da cui non possono staccarsi naturalmente un po’ alla volta, come succede nel processo di crescita.

I bambini liberi che hanno i genitori in carcere invece soffrono per la loro mancanza e di solito anche per la povertà che questa assenza induce. Soffrono perché non si dice loro la verità o perché, quando la scoprono, devono perdonare ai genitori gli errori da questi commessi. Spesso sono emarginati dai compagni per questo motivo e i loro sentimenti nei confronti dei genitori detenuti sono molto ambivalenti e contrastanti, in una parola un po’ banale “difficili”. Ma tutti sappiamo quanto i rapporti difficili con i genitori possano condizionare vite intere.

Bisogna aiutare genitori e figli a dire e accettare la verità. Io credo che se si arriva a questo ci siano buone probabilità di recupero di buoni rapporti e di inserimento sociale.

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Questo è il sito di Rita Charbonnier, autrice dei romanzi Figlia del cuore (di prossima uscita per Marcos y Marcos), La sorella di Mozart (Corbaccio 2006, Piemme Bestseller 2011), La strana giornata di Alexandre Dumas e Le due vite di Elsa (Piemme 2009 e 2011). Scopri di più...

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