Il romanzo vincitore del Campiello diventa uno spettacolo teatrale

Il romanzo Mille anni che sto qui di Mariolina Venezia (Einaudi), vincitore del premio Campiello, tradotto in numerose lingue, è ora anche uno spettacolo teatrale. Nella versione per il palcoscenico, la storia è raccontata in cinque tappe: la prima — intitolata Mille anni: l’inizio — andrà in scena il prossimo fine settimana a Matera, nell’ambito del festival “Materadio”.
Appuntamento venerdì 23 settembre alle ore 17 presso lo Spazio Teatrale Casa Cava, via San Pietro Barisano 47, Matera. Lo spettacolo andrà contemporaneamente in onda su Rai Radio 3.

Lo spettacolo Mille anni che sto qui è prodotto da Matera 2019 e interpretato da Egidia Bruno; drammaturgia e regia sono della stessa Mariolina Venezia. La storia è quella di una famiglia originaria di un piccolo paese della Basilicata; si succedono le vicende di cinque generazioni, dall’Unità d’Italia alla caduta del muro di Berlino. Cinque donne si passano il testimone — a cominciare da Concetta, la contadinella violentata ancora bambina dal signorotto, e a finire con Gioia, l’ultima rappresentante di questa grande stirpe, che lascia la terra dei suoi antenati alla ricerca della libertà. Nella versione teatrale, la storia è raccontata attraverso cinque monologhi: di madre in figlia, l’epopea familiare è riformulata e rielaborata, arricchendosi a ogni passaggio generazionale di nuove storie, nuovi personaggi, sguardi diversi sulle stesse cose, per far luce sul mistero dolce e problematico dell’identità — di ciò che ci lega a chi ci ha preceduti e ciò che ci rende irriducibilmente unici.
In questa prima tappa, dunque, Concetta — la capostipite, la contadinella che dà inizio alla saga — viene raccontata come un personaggio dell’immaginario di Gioia, la sua discendente, che si volta indietro nella storia familiare per tirare le fila della sua vita. E’ proprio Gioia che introduce il monologo, trasformandosi sotto i nostri occhi nell’antenata, di cui sente il respiro, lo sguardo e la carne nelle sue stesse cellule. Concetta sta partorendo per l’ennesima volta. Sarà ancora una femmina, o il maschio tanto atteso? Il signorotto che l’ha violentata quando era una bambina, e a cui ha dato già sei figlie, la sposerà e riconoscerà le bastarde solo se lei darà alla luce un maschio…
Lo spettacolo si caratterizza per una forte attenzione all’aspetto vocale e rituale della parola: filastrocche, canzoni, versi utilizzati per chiamare gli animali, formule, incantesimi e lamentazioni si intrecciano alla trama della narrazione, arrivando in alcuni momenti alla glossolalia. Nell’allestimento, gli oggetti fluttuano nello spazio scenico come frammenti di memoria, trasformati dal ricordo. Su tutto, il vestito da sposa — una creazione della costumista Paola Marchesin, realizzato in carta velina, fragile reperto del desiderio e del ricordo.
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