Si può essere genitori e figli senza essere legati geneticamente: la famiglia non è un fatto biologico, ma può formarsi sull’impulso di una scelta. Intervista con due mamme

Ho conosciuto Maria & Maria cinque anni fa, perché le ho intervistate. Stavo facendo ricerche per Figlia del cuore. Oggi i loro bambini mi chiamano zia; bambini che sono stati partoriti da una delle due, ma sono figli di entrambe. Anche di fronte alla legge. Fin dal nostro primo incontro, Maria & Maria sono state estremamente accoglienti, rispondendo senza remore alle mie domande spesso indiscrete. In materia di omogenitorialità, mi hanno spiegato cose sulle quali avevo poche idee, e anche piuttosto confuse.
La prima intervista che riporto è quella alla madre biologica, che ha effettuato la procreazione assistita e ha partorito i bambini. Maria & Maria mi hanno parlato di aspetti diversi della loro esperienza, la vita quotidiana, il rapporto con le famiglie di origine, la scelta se usufruire di una donazione anonima di seme o di un donatore conoscibile.
La madre biologica
Maria, i vostri sono figli intensamente desiderati; sono l’incarnazione di un desiderio di maternità che nutrivate entrambe. Come mai avete deciso che fossi tu a portare avanti la gravidanza?
Per diverse ragioni, una delle quali è che io desideravo particolarmente riscoprire la mia parte femminile. Sono stata tirata su da mio padre come se fossi stata un maschio e quand’ero piccola a volte mi scambiavano per un ragazzino. Ci soffrivo. Io sono sempre stata e mi sono sempre sentita donna, non ho mai pensato che avrei preferito essere un uomo e se rinascessi vorrei rinascere donna. D’altra parte, è chiaro che la mia femminilità non è la più classica del mondo.
Hai avuto altre relazioni importanti, prima di quella con Maria?
Sì. E pensa che la mia ex era follemente innamorata di me perché — diceva così — ero androgina. Quello che mi ha sempre lasciata abbastanza perplessa è che quand’ero più giovane piacevo soprattutto alle cosiddette femministe militanti. Mi sembrava paradossale che andassero a innamorarsi proprio di una che in qualche modo, così lasciavano capire, gli ricordava il maschio. Tra l’altro, non ti sarà sfuggito che alcune femministe hanno molto criticato le nostre battaglie per l’omogenitorialità: secondo loro, le coppie omosessuali con figli vanno a riproporre il modello tradizionale di famiglia.
Ordina Figlia del cuore
L’ebook
Tu come rispondi a questa critica? L’omogenitorialità può rappresentare un passo indietro?
No, la verità è un’altra. Il fatto che una persona apertamente omosessuale abbia dei figli sconcerta chiunque. L’omogenitorialità, soprattutto quando riguarda famiglie nelle quali i genitori sono due uomini, va a scardinare l’idea della famiglia in sé, perché non esistono modelli che la prevedano. I modelli di famiglia che ci circondano non sono nemmeno “tradizionali”; sono tagliati con l’accetta. Ci fosse una pubblicità nella quale è il papà a occuparsi dei detersivi e la mamma a mettere l’olio nel motore della macchina; niente da fare, ci fanno vedere sempre il contrario. Quindi, quando arriva un papà Arcobaleno che cambia i pannolini al figlio, come minimo è guardato con sospetto.
Voi due siete guardate con sospetto?
Alle coppie di donne capita meno, perché l’idea che un bambino sia cresciuto da due donne è ritenuta più accettabile. Una volta, eravamo per la strada, una signora ha guardato prima noi, poi i bambini e ha esclamato: “Beati voi che avete due mamme, magari le avessi avute io”. Questo, da una parte. Dall’altra parte la gente, quando ci vede insieme, pensa sempre che la madre biologica sia Maria, non io. Perché lei è più vicina alla figura della mamma tradizionale. Ha sempre i bambini attaccati addosso, ha comportamenti da chioccia, cose del genere. Io invece sono quella che contratta col meccanico quando si rompe la macchina, quella che si incolla il passeggino su per le scale… e sono anche quella che li ha partoriti. Ecco, vedi? Il nostro è un tipo di famiglia che non corrisponde a nessun modello conosciuto. Per questo l’omogenitorialità può fare paura.
Tu e Maria avete fatto la PMA, la procreazione medicalmente assistita, in Spagna. In Italia non vi sarebbe stato consentito. La Spagna è uno dei Paesi nei quali esiste solo la donazione anonima: il che vuol dire che il donatore di seme sarà per sempre uno sconosciuto irraggiungibile.
Salvo il caso in cui, e nessuno se lo augura, dovessero sorgere problematiche sanitarie molto gravi.

Ma se un giorno i vostri bambini provassero il desiderio di sapere chi è il loro donatore, si troverebbero davanti a un muro.
Non sai quanto ne abbiamo discusso, io e Maria… io all’inizio ero a favore del donatore aperto, cioè conoscibile alla maggiore età, come accade per i figli adottivi. Lei vedeva la questione in modo diverso e alla fine mi sono trovata d’accordo. Perché alla fine, diciamocelo, il donatore chi è? È uno che ha messo a disposizione un po’ del suo liquido seminale. Non è un padre, non è nemmeno un amico, è una persona che può legittimamente restare anonima, così come resta anonimo il donatore samaritano di rene.
Secondo te è la stessa cosa? Il donatore di rene salva la vita a qualcuno, non collabora alla venuta al mondo di qualcuno.
Comunque, se proprio vuoi, oggi come oggi all’identità del donatore arrivi in due secondi netti. Ci sono i test genetici, c’è Internet…
In effetti nel mondo esistono diverse associazioni di persone concepite attraverso una donazione. La maggior parte di loro non ne sapeva niente: l’hanno scoperto all’improvviso, perché è saltata fuori un’incompatibilità del gruppo sanguigno o perché è scappato detto a qualcuno, e sono rimaste scioccate.
Ecco, hai toccato il punto: loro non ne sapevano niente! I genitori gli avevano mentito; e quando loro l’hanno scoperto, si sono sentiti traditi. È il senso di tradimento a far scattare il desiderio di conoscere il donatore, il desiderio di svelare il presunto segreto. Le coppie omosessuali non possono nascondere che c’è stata una donazione; possono mentire su altre cose, magari, ma su questa proprio no.

La madre non biologica
L’altra Maria, che delle due è un po’ la mamma-chioccia, ha ottenuto l’adozione dei bambini. Alcuni anni fa, aveva una storia d’amore con una donna che avrebbe desiderato un figlio, che avrebbe voluto crescerlo insieme a lei, ma lei in quel caso era contraria. «Mi era chiaro che in quella relazione non c’era spazio per un terzo oggetto d’amore; c’erano troppi elementi egocentrici. Invece con Maria ho sentito molto presto che questo spazio c’era.»
Non hai avvertito un’esigenza fisica di maternità? Il desiderio di “fare” un figlio a tua volta?
Prima che i bambini nascessero, forse sì; ma nello stesso tempo credevo che non sarei stata del tutto in grado di condividere con Maria questa esperienza. Ero convinta che lei, invece, sarebbe stata capace di accogliermi nella sua maternità. All’inizio, per la verità, il nostro intento era che ognuna di noi avrebbe avuto un bambino. Poi però abbiamo saputo che Maria era incinta di due gemelli e per me, a quel punto, la nostra famiglia era al completo.
Posso chiederti come la tua scelta è stata accolta dai tuoi genitori?
Loro hanno sempre saputo della mia relazione con Maria, ma quando abbiamo deciso di avere i figli e abbiamo intrapreso il percorso, le riflessioni, i viaggi all’estero, ho preferito non parlargliene. L’omogenitorialità crea ansia e fa tanta paura, all’esterno, e noi già gestivamo questo progetto di coppia con molta fatica emotiva; subire anche le intromissioni di mia madre sarebbe stato deleterio. Per indurmi a desistere, avrebbe agitato fantasmi di bambini presi in giro, ghettizzati… cavalcando le mie paure. Perché io ne avevo, intendiamoci. Ero terrorizzata dalla possibilità che la società non fosse pronta ad accogliere un bambino con due madri.
E come hai superato queste paure?

Confrontandomi con Maria, che ha una splendida capacità di utilizzare l’ironia come difesa. Inoltre devo dire che l’importanza di un’associazione come Famiglie Arcobaleno è anche nella possibilità di mostrare ai bambini che esistono realtà simili alla loro: che l’omogenitorialità non è certo un unicum della nostra famiglia. E comunque i nostri amici, anche con figli, sono perlopiù eterosessuali, ed è una cosa bellissima perché fa comprendere ai bambini che quel che conta in una famiglia non è la sua conformazione, ma il fatto che si regga su affetti sinceri.
Maria, che cos’è la famiglia, per te?
Domanda difficilissima. Diciamo così: un gruppo di persone del quale fanno parte alcuni adulti che si pongono l’obiettivo di accompagnare uno o più bambini nella crescita.
Quindi una coppia senza figli non è una famiglia?
No. È una coppia.
E un single con un figlio non è una famiglia?
Sì, lo è, perché in quel caso il nucleo comprende sia l’adulto che il bambino. Chi si occupa di un figlio crea, dentro di sé, uno spazio “altro” — un’entità psicologica ulteriore. Se il figlio non c’è, questo spazio non si crea.
Spiegami questo spazio che cos’è.
Quando diventi genitore, inevitabilmente cambi. Ritrovi delle parti antiche di te, risalenti alla tua infanzia, e allo stesso tempo ne scopri altre che altrimenti ti rimarrebbero sconosciute. Entrare in contatto con le memorie della tua infanzia, con quel bambino che eri un tempo e che comunque è rimasto dentro di te, fa crescere quel bambino e ti fa crescere; ti fa uscire dalla tua individualità. Viene inoltre a crearsi una complessità, molto fertile, in tutte le relazioni: quella che hai con l’altro genitore, quella che hai con il figlio, quella che hai con la famiglia intera.
Seguendo questo tuo ragionamento, se il genitore è uno solo c’è meno complessità — quindi il terreno è meno fertile.
In effetti, io credo che il genitore unico presenti dei rischi, il primo dei quali è il crearsi di una relazione di dipendenza; soprattutto se il genitore unico ha un figlio unico, la simbiosi è dietro l’angolo. Manca una controparte ed è abbastanza probabile che il genitore single riversi tutto il proprio amore su un unico essere e lo soffochi; inoltre, il rischio che lo consideri come una protesi, come un prolungamento di sé, è più elevato.
Io credo di essere stata una protesi per mia madre, ma c’era anche un padre e c’erano ben quattro fratelli e una sorella.

Tutti molto più grandi di te, o sbaglio? Il figlio arrivato in ritardo, per così dire, corre il pericolo di essere amato in modo strumentale; non di rado tutta la famiglia gli consegna questo ruolo e lui se lo prende. Intendiamoci, però: io non dico che una certa condizione di partenza produca necessariamente un certo risultato. La famiglia è un sistema complesso, non si può schematizzare.
Cosa risponderesti a chi afferma che un bambino, per crescere bene, ha bisogno di avere accanto a sé sia una figura femminile che una figura maschile?
Che è vero; però non è detto che queste figure debbano necessariamente essere un papà e una mamma. I nostri bambini sono due maschi ed è importante che abbiano intorno non solo donne adulte come noi, ma anche uomini, così da potersi identificare con loro, da vedere come diverranno una volta cresciuti. Noi frequentiamo abitualmente mia sorella e mio cognato, abbiamo diversi amici stretti con i quali condividiamo esperienze familiari; possiamo contare su una serie di “zii” che costituiscono dei punti di riferimento molto importanti per i gemelli.
Secondo te si arriverà mai ad accettare al 100% l’omogenitorialità, in Italia? Si accetterà l’idea che una coppia di donne o di uomini possa essere una buona coppia genitoriale?
Fino a non molto tempo fa, in alcuni Paesi era illegale il matrimonio tra persone con un diverso colore della pelle… i miei nonni dicevano che i neri portavano le malattie! Si riferivano a malattie sessualmente trasmissibili, tra l’altro, lasciando intendere che un rapporto sessuale con un uomo di colore era una cosa da evitare. Oggi queste affermazioni sono giustamente considerate inaccettabili. Quindi, non so quanto tempo ci vorrà, ma so che anche nel campo dell’omogenitorialità la cultura è destinata a cambiare.