Il negazionismo, il complottismo (e l’antivaccinismo) rischiano di far lievitare in noi l’ansia da pandemia

L’ansia da pandemia ti invade all’improvviso. Il brutto film di fantascienza nel quale ti ritrovi a vivere è lo stesso di ieri; tra gli scaffali del supermercato e nei corridoi della metropolitana una voce ti ricorda di indossare “bene” la mascherina più o meno con lo stesso tono con il quale te lo ricordava ieri. Per la strada, la gente ti schiva oggi come ti schivava ieri; non puoi sfiorare, carezzare, toccare nessuno, se non chi vive insieme a te; e anche in quel caso, non tanto e non sempre.
Nulla, da ieri, è cambiato. Però, oggi l’ansia da pandemia insorge, ribolle e ti paralizza come ieri non faceva.
Cosa può essere successo? Ieri hai finito di leggere il fenomenale Il club dei bugiardi di Mary Karr, o magari Le cose crollano di Chinua Achebe, o che so, l’ultimo Carrère, e non sei riuscita a trovare un qualche libro che lo sostituisca in modo degno. Ieri hai visto in streaming l’ultima puntata della quarta, magistrale serie di This Is Us e adesso che solo in America è in onda la quinta serie (ambientata in piena pandemia) dubiti che esista un’alternativa in grado di nutrire il tuo isolamento in modo altrettanto efficace; un’altra serie televisiva che possa ugualmente indurti a chiederti se sia più “vero” il figlioletto di Kate e Toby o il figlioletto di tua nipote.
Dopotutto, puoi vedere entrambi i bimbi di pochi mesi solo in video, no? Tra il frutto della fantasia di uno sceneggiatore, impersonato da un pupo inconsapevole, e un essere umano vero e proprio che non puoi comunque prendere in braccio e coccolare, che differenza c’è?

Ecco cosa può esserti successo: stai perdendo il senso della realtà. Attorno a te hai più esseri umani su schermi che esseri umani in carne e ossa, e ti vengono a mancare la cognizione del tempo, il senso della prospettiva e la capacità di procedere nello spazio.
Di chi è la colpa? Dei DPCM, ovvio, dei lockdown più o meno soft, della clausura! O magari del virus? Non sarà lui il vero colpevole? Chi attacca le stramaledette regole, strepita e si ribella, chi agita fantasmi e complotti, non starà confondendo la luna con il dito?
Clienti e discenti
Alcuni anni fa, facevo ricerche per un romanzo quando la mia ex agente letteraria mi consigliò di chiedere alcune informazioni a una storica, autrice di non pochi testi destinati alle scuole superiori. Scoprii in lei una conversatrice gradevolissima, oltre che una persona colta. Un giorno mi rivelò come il Ministero dell’Istruzione avesse richiesto agli autori dei manuali di semplificarne il linguaggio e la sintassi, poiché gli studenti non erano più in grado di comprendere frasi mediamente complesse.
Io, che sono figlia di una professoressa del Ginnasio, la quale era allieva di Giovanni La Magna, conobbe Benedetto Croce e studiò nella sua biblioteca, rimasi sconvolta. Se un ragazzino non è in grado di capire frasi complesse, bisogna fare in modo che arrivi a capirle, o no? Bisogna, pazientemente, far sì che acquisisca le competenze necessarie, escogitare un qualche metodo che lo renda possibile… insomma, bisogna affrontare il problema, porca miseria!
“Beh, ma ormai le cose stanno ovunque così, non ti è chiaro il concetto?” mi disse, placida, la storica. “Oggi esiste solo la customer satisfaction. Gli allievi degli istituti scolastici, e le loro famiglie, sono clienti, non discenti. Non sono persone da educare.”

Devi dare al cliente ciò che vuole, non ciò di cui ha bisogno: così dicono i guru del marketing. Devi accontentare, soddisfare, andare alla ricerca del consenso. Il marketing applicato a ogni aspetto della vita? Lo trovo abbastanza inquietante. Se l’analista, tanto per dirne una, desse al paziente ciò che il paziente in quel momento disperatamente vuole, il paziente continuerebbe a star male per tutta la vita.
La competenza non è fatta necessariamente ed esclusivamente di paternalismo e arie di superiorità; così come le iniziative che partono “dal basso” (ohi, che orribile luogo comune) non sono necessariamente ed esclusivamente le più genuine e interessanti e valide… c’è bisogno di dirlo?
Quand’ero piccolina non esistevano i media sociali, ma i meme esistevano; correvano su altri veicoli. Uno che mi è rimasto impresso, e che non so proprio da dove fosse stato preso, recitava:
Se ti paragoni agli altri corri il rischio di far nascere in te orgoglio o acredine, perché sempre esisteranno persone più in alto o più in basso di te.
Personalmente sono lieta che esistano persone più in alto di me nelle conoscenze, così che possano insegnarmi le cose che non so; e persone più in alto di me nella polis, così che possano prendere decisioni che io non saprei prendere.
È ovvio che si tratta di decisioni sindacabili, in tempi di pandemia e non solo; ma chi vi si ribella per principio, evocando libertà negate, agitando fantasmi e complotti, non si comporta da cittadino. Si comporta da cliente: un cliente insoddisfatto. E nel farlo pervicacemente e in barba alla ragionevolezza rischia, tra le altre cose, di accrescere l’ansia da pandemia in sé e negli altri.
L’articolo è molto vero. Un po’ depresso, forse; è molto triste che la gente si debba scansare, che i ragazzi non capiscano quello che leggono (e sempre più succederà, visto che a scuola manco ci vanno!), che le professoresse siano rassegnate a ciò…