Non chiamatelo “utero in affitto”. Si dice GPA

Un’espressione volutamente dispregiativa, utilizzata allo scopo di farla apparire come una pratica esecrabile

Utero in affitto: un fagotto portato da una cicogna

In tempi di natalità, in questo Natale 2020 così disorientante, mi viene la strana voglia di parlare di uno strano modo di venire al mondo. Ancor più strano di quanto possa essere un concepimento virginale. Si tratta della situazione nella quale una donna porta avanti la gravidanza di un bambino che non è figlio suo, ma di qualcun altro.

Il nascituro non è legato a lei dal punto di vista genetico: la fecondazione è avvenuta in vitro e l’ovulo non era suo, ma di un’altra (una donatrice di ovuli, o la stessa madre intenzionale, se possibile). E non lo è dal punto di vista legale: di solito le “gestanti di sostegno”, e anche le donatrici, stringono accordi con i genitori intenzionali, nei quali si stabilisce che non sono e non saranno mai le madri dei bambini che verranno.

Tutto questo in Italia non si può fare, mentre è consentito e regolamentato in diversi Paesi del mondo e gli italiani ne fanno uso andando all’estero, in cliniche straniere organizzatissime e con personale multilingue: basta una ricerca su Google con la chiave “utero in affitto” per rendersene conto.

Quelli che l’hanno fatto, il più delle volte non lo dicono. Alcune cliniche forniscono alle “madri intenzionali”, che vorrebbero un figlio ma non possono generarlo, delle pance di silicone, utili a sostenere la finzione presso amici e parenti. Lo testimonia il video qui sotto (all’inizio potrebbe esserci qualche secondo di pubblicità, mi spiace: non posso evitarlo e non ne traggo vantaggi).

In pubblico, molti prendono le distanze da questa pratica, affermando che si configura uno sfruttamento del corpo della donna, che “è impensabile che la puerpera si separi dal neonato”, e che nelle aree povere del mondo molte ragazze potrebbero essere indotte a sfornare un bambino dopo l’altro per sopravvivere. La stessa espressione comunemente utilizzata, “utero in affitto”, ha un carattere volutamente dispregiativo, mentre ne esiste un’altra che si limita a descrivere il fatto e sarebbe quindi preferibile: gestazione per altri, in breve GPA.

Secondo alcuni, la GPA dovrebbe divenire un reato universale; altri (altre) invitano piuttosto a considerare il fenomeno in tutta la sua complessità, prima di giudicarlo. Perché non è detto che si tratti sempre di sfruttamento, di “utero in affitto”, e perché quella di portare avanti una gravidanza per qualcun altro può anche essere una scelta.

In effetti, alcune donne dichiarano di aver deciso di fare una gestazione per altri in modo pienamente consapevole, dopo averci riflettuto, e di non averlo fatto per denaro. Per esempio, una nonna giovane e in salute ha fatto da madre surrogata per sua figlia, che non poteva avere figli.

Vogliamo negare che questa giovane nonna fosse consapevole di quello che faceva? Ci piace pensare che fosse convinta di compiere una scelta, ma in effetti non avesse il senso della propria corporeità e integrità? A me sembra piuttosto che il suo gesto configuri una trasmissione di amore materno tra generazioni.

Ci sono persone disposte a mettere in gioco il loro corpo in modo ancor più radicale. Quelle che scelgono di fare una donazione samaritana di rene, per esempio. Io non lo farei mai, non so tu che leggi queste righe, ma è un fatto che nel mondo esistono individui decisi a compiere un gesto così forte allo scopo di aiutare qualcuno.

Chi dona un rene si sottopone a una mutilazione fisica permanente. Dà via un organo del suo corpo che non tornerà più; sa che il suo organo salverà la vita di qualcuno, ma non saprà mai questo qualcuno chi sia. La sua è una rinuncia ancor maggiore di quella che compie una donna, lasciando andare il bambino che ha portato dentro di sé per nove mesi e partorito. Inoltre, quella donna lo lascia andare mettendolo tra le braccia di persone che conosce: sa chi lo crescerà, sa che vita potrà avere.

Poi, è chiaro che chi sceglie di fare un dono così grande lo fa perché ne ha bisogno per sé. Perché avverte un’esigenza fortissima di sentirsi utile. Perché, magari, ritiene che solo in quel modo riuscirà a rimettere in sesto la propria vita… nessun dono è esclusivamente altruistico, e un dono di questa portata, se non fosse in qualche modo anche egoistico, sarebbe un atto di puro autolesionismo.

“Nel mio caso, tutto è avvenuto nel pieno rispetto dell’autodeterminazione e della dignità delle donne coinvolte” mi ha detto il padre di due gemelli, italiano, grazie a una GPA effettuata all’estero.

Per avere prova che le cose possano effettivamente andare in questo modo, ho intervistato una signora americana che ha dato alla luce due bambini per due diverse coppie italiane: una a Torino, una a Roma. E l’ha fatto in pieno accordo con il proprio marito, che era presente all’intervista.

Il racconto della loro strana esperienza in un nuovo articolo, dopo una pausa natalizia.

Aggiornamento: ecco l’articolo⤵️

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Questo è il sito di Rita Charbonnier, autrice dei romanzi Figlia del cuore (di prossima uscita per Marcos y Marcos), La sorella di Mozart (Corbaccio 2006, Piemme Bestseller 2011), La strana giornata di Alexandre Dumas e Le due vite di Elsa (Piemme 2009 e 2011). Scopri di più...

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