Parla l’autrice di Eva e le sue sorelle, edito da Marcos y Marcos

Tieta Madia è nata a Milano nel 1983. La sua prima casa era una scuola di danza e lei, fin da piccola, ha imparato a camminare sui trampoli e fare acrobazie. Ha sfruttato queste abilità da grande, lavorando in una compagnia teatrale, ma esibirsi sul palco non era del tutto nelle sue corde, così alla prima gravidanza ha deviato verso professioni più sedentarie. Dopo essere passata da un’agenzia di comunicazione all’altra, proprio come la protagonista del suo libro, Tieta Madia è approdata al mondo inquieto dei freelance. Da qualche anno si è trasferita a Roma. Eva e le sue sorelle (Marcos y Marcos, 2020) è il suo primo romanzo, ispirato alle vicissitudini della sua maternità.
Avere un bambino è il chiodo fisso della protagonista; lei si aspetta che sia naturalissimo, come per molte donne. Non per lei. Prima restare incinta è un miraggio, poi le gravidanze si interrompono. Sarà l’utero bicorne, sarà qualcosa di sbagliato in lei, sarà la punizione per un amorazzo clandestino: le pensa tutte. Ogni volta speranza, ogni volta paura, e poi forme diverse di dolore. Finalmente, in una nuova città e con un nuovo compagno, l’ennesima gravidanza sembra procedere bene. Invece no: il percorso è minato, non c’è pace. Ma poi nella prova più estrema, da un’incubatrice piena di tubicini, sotto il cappellino azzurro del respiratore, la più bella bocca mai vista le insegna la pazienza, il coraggio dell’attesa e dell’amore, il contatto con il nucleo incandescente del mondo.
1) Tieta Madia, il tuo romanzo è basato su esperienze personali, ma immagino che ti sia concessa anche alcune libertà rispetto a quanto accaduto. È così? E se sì, in quali ambiti? Hai cambiato la cronologia, hai aggiunto personaggi che nella realtà non esistono, hai accentuato alcune loro caratteristiche…
Ciao! Sì, mi sono presa delle libertà. Quando ho cominciato a scrivere, mi attenevo solo ai fatti realmente accaduti, ma a un certo punto ho capito che sapere se quella mattina prima di scoprire di aver avuto un aborto (c’è scritto nella quarta di copertina che questo libro parla anche di aborti) mi ero depilata le gambe, per dire, poteva non essere fondamentale nel racconto. A farmi togliere particolari come questi è stata la mia agente, Alessandra Mele, alla prima stesura. Poi ho cominciato ad aggiungere situazioni, personaggi, dialoghi, cambiare i nomi (sono rimasti invariati solo quello di Eva, e della mia gatta Mandela); per esempio ho accentuato e ironizzato i difetti di mia mamma e mio papà, di alcuni fidanzati che si incontrano nella storia, un po’ perché mi serviva ai fini della narrazione, un po’ per spostare l’attenzione e poter dire: ma no, è un romanzo, non vedi che quella roba là l’ho inventata? Non sei proprio tu!
Claudia Tarolo (editrice e editor di MyM) poi, al momento dell’editing, mi ha detto: inventa situazioni che avresti voluto vivere. Che è un consiglio che mi ha aiutata molto, soprattutto perché dando tanta libertà a me stessa, sono stata più attenta a non finire nell’edulcolorato, in un mondo di mini pony dove la protagonista fa tutto giusto. Io volevo invece che la protagonista non avesse paura di mostrare i suoi lati di ombra e anche un po’ marci. Quelli non ho dovuto inventarli troppo.
2) Il tuo libro narra le avventure sentimentali di una ragazza e poi alcune sue gravidanze. Difficilmente, immagino, una persona che non abbia vissuto fisicamente queste esperienze avrebbe potuto scriverlo. Nella fattispecie, mi sembra difficile che un uomo avrebbe mai potuto scriverlo, e in questo modo. Che cosa ti hanno detto gli uomini che l’hanno letto?
Ho appena ricevuto un messaggio di un uomo, lo posso riportare paro paro?
Io bho… da uomo e marito e forse futuro padre sono rimasto in ansia per tutto il libro. Ho dovuto fermarmi un attimo e riprendere. Ma quanto cazzo siete fighe voi donne? Cioè quanto siete in grado di fare senza ammazzare nessuno. Da uomo io non la avrei tutta questa forza. Bellissima storia. Da far leggere ai futuri padri, così farò in biblioteca, perché diamo davvero per scontato tantissime cose. Complimenti.
Ecco.
Io volevo che lo leggessero anche gli uomini, anche se la copertina richiama altro tipo di lettori, perché è vero che quello che succede nel libro riguarda molto il corpo e la testa delle donne, ma è anche vero che mentre una donna cerca un figlio, abortisce, fa sesso, si innamora, tradisce, o partorisce, in molti casi da qualche parte c’è anche un uomo. Viviamo le stesse situazioni da prospettive differenti, magari scambiarci i punti di vista ogni tanto farebbe bene a tutti. Che gli uomini abbiano l’istinto di scappare quando la propria compagna scopre di essere incinta è quasi un cliché; che anche le donne possano avere questo desiderio, si dice solo al telefono con la migliore amica. La schiettezza con la quale ho cercato di raccontare queste vicende è quella che ha fatto apprezzare la lettura agli uomini, ma anche alle donne che non sono madri e che magari non hanno intenzione di esserlo. Mi ha fatto molto piacere, non volevo scrivere un libro per “pancine”.
3) Leggendolo, io mi sono a tratti divertita, a tratti commossa; mi sono pienamente identificata con la protagonista, malgrado nel mio vissuto non ci sia nulla di nemmeno lontanamente simile. Come si fa a parlare a tutti quando si parla di sé?
Riscrivendo fino a che quando guardi quel “sé”, me, non mi è appartenuto più. Ho fatto circa quattro stesure prima di quella consegnata all’editore, la prima volta ho buttato tutto fuori come fossi dall’analista, ed era proprio solo mia. Nella seconda ho dovuto spiegarmi alcuni comportamenti, analizzarli, alla terza avevo più chiari i processi, ed è stato un bel momento anche per me, mi sono perdonata su alcune tematiche e ho fatto un giro di chiamate per chiedere scusa a un po’ di persone. La quarta l’ho scritta e non ero più solo io.
Nel concreto, il primo passo per allontanarmi dalla mia storia e dunque renderla non più solo mia ma quella di tanti, l’ho fatto cambiando i nomi ai protagonisti. Quello mi ha permesso di non parlare di me, di mia sorella, o del mio fidanzato, ma di persone.
E poi perché è vero che se dovessi tirare fuori le le parole chiave del libro sarebbero “aborti”, “maternità” “gravidanza” ma avrei potuto scrivere di “lutto”, “disoccupazione”, “abbandono”, “ristrutturazione”: per me sono state gli strumenti per scrivere soprattutto di desiderio, di trasformazione, di crescita. Cose che riguardano più o meno tutti. Nel mio caso, la protagonista passa attraverso il desiderio di maternità e la difficoltà a raggiungerla, che poi è un desiderio di eternità, di mettere una X da qualche parte in questo mondo, la risposta di una bambina di sei anni alla paura della morte. Però era il processo che mi interessava particolarmente, quell’attraversare certe situazioni in modo consapevole in modo da uscirne migliorato, e in che modo ci si arriva.

4) In questo periodo, e non solo in questo periodo, si fa un gran parlare della gestazione per altri. Riesci a metterti nei panni di una donna che porta avanti una gravidanza per qualcun altro? Qual è l’opinione di Tieta Madia sulla GPA?
Ma se io volessi portare avanti una gravidanza per qualcun altro, perché mai una terza persona dovrebbe dirmi che non posso e spiegarmi come mi dovrei sentire? A me, che ci sia questo dibattito sul corpo delle donne, fa andare fuori di testa. Mi sembra ovvio che sia da evitare la prostituzione di uteri, inteso come l’esercizio del potere (economico) sulle scelte di qualcun altro. Se questo è il dibattito, vorrei che si dibattesse anche di molti altri sfruttamenti.
Ho letto la tua intervista alla donna americana, bellissima. Siamo parte attiva, siamo corpi attivi, e poi non è che tutte portiamo avanti le gravidanze allo stesso modo, con la stessa intensità e le stesse emozioni. E non è detto che la generosità non debba prevalere su quelle emozioni. O anche no, ma in ogni caso vorrei che fosse una mia scelta, non quella di qualcun altro e sicuramente non quella di un uomo. Un uomo non potrebbe scrivere il mio libro, figurarsi sapere come si può sentire una donna che intraprende questo percorso.
5) Le statistiche ci dicono che le donne leggono più degli uomini (perlomeno la narrativa). D’altra parte, i libri più “visibili” sono più spesso scritti da uomini. Ritieni che si tratti di una contraddizione rilevante? E a cosa credi sia dovuta?
Non ci avevo mai pensato, in questo ambito. Forse questa dinamica appartiene più ai grandi gruppi editoriali che puntano alla quantità, d’altronde c’è un mio amico che ritiene che gli uomini facciano più ridere delle donne. Ecco. Viviamo in questa società ancora patriarcale e maschilista, colma di mansplaining. E dove si cerca il profitto, in qualsiasi settore, si guarda alle masse, credo.
Se penso ai casi editoriali, globali o locali, degli ultimi anni mi vengono in mente di getto questi nomi: Rawling, Ferrante, Carrère, Houellebecq, Strout, Auci, Pietrantonio. Solo due uomini. Non so, io mi sa che faccio caso molto più alle donne, mi interessano maggiormente!
Però se penso alla libreria indipendente sotto casa non mi indigno se hanno in vetrina Carrère, per dire. Là in vetrina c’è finito anche il mio libro, ma non quello di Fabio Volo o di Galiano, con tutto il rispetto. Così come non noto questa contraddizione nell’editoria indipendente: Marcos y Marcos in questo momento spinge Miriam Toews, Edizioni Sur Bernardine Evaristo, Bollati Boringhieri Rufi Thorpe… la qualità è paritaria, per fortuna.
Grazie, Tieta Madia! E chi desidera conoscere meglio l’autrice di Eva e le sue sorelle può visitare il suo sito Chi volta il cul a Milan. Tieta è inoltre cofondatrice di Pollyanna — Vademecum per un ottimismo consapevole.