La nostalgia dell’Eden: il giardino fra mito, arte e storia

Da Ciro il Grande a Claude Monet, passando per i giardini all’italiana e all’inglese, la storia del giardino si intreccia con quella dell’umanità e rappresenta il desiderio di tornare a un’età primigenia e perduta

Articolo di Anna Burchi

Peter Wenzel, Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre: un giardino lussureggiante
Peter Wenzel, Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre, 1825, Musei Vaticani, Roma. Wikimedia Commons, pubblico dominio

Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male.

Genesi, 2, 8

Nella comune tradizione di molti popoli antichi e moderni, all’origine della storia umana esiste un luogo ormai perduto dove, in una remota epoca dell’oro, si era realizzata l’armonia perfetta tra gli esseri umani e la natura. In ogni cultura e civiltà un magnifico e lussureggiante giardino è simbolo dell’innocenza umana e diviene l’emblema di ciò che si è perduto per sempre e che si anela a ritrovare in qualche modo: è l’immagine di una natura sottratta alla caducità del tempo, dove regna l’eterna primavera e dove la terra offre i suoi frutti sotto un cielo privo di nubi e nella concordia degli animali.

Non è un caso che l’etimologia della parola paradiso — connessa spesso al giardino — derivi proprio dalla parola persiana pairideisoi, i famosi e lussureggianti giardini cinti da mura che, nel VI sec. a.C., Ciro il Grande aveva realizzato a Pasargade strappando terra arida al deserto.

Nel giardino l’essere umano sembra rievocare un mondo primordiale, quello dell’inizio dei tempi: è la nostalgia del Paradiso. Il desiderio di ricreare questo mitico luogo immaginario dove celebrare le meraviglie del creato — associandolo alla necessità di riprodurre i fenomeni naturali, disciplinandoli e piegandoli ai bisogni umani in un’area di terreno recintata, perché protetta dalle insidie esterne, e coltivata con cura — ha dato origine ai primi giardini. E dunque la storia dei giardini si intreccia con quella dell’umanità.

Egizi, Assiri, Greci, Romani, Arabi curarono l’allestimento di giardini che, per quanto luoghi di delizie, avevano sempre a che vedere con la sfera del sacro: ne è esempio emblematico il giardino islamico diventato il Paradiso, premio per l’uomo che ha vissuto giustamente.

Giardino dipinto, Museo nazionale romano
Giardino dipinto, Villa di Livia a Prima Porta, I sec. a.C., Museo Nazionale Romano. Wikimedia Commons, pubblico dominio

Nel Medioevo cristiano il giardino è sempre uno spazio recintato da mura : è l’hortus conclusus, il luogo sacro e protetto dove l’uomo religioso, all’interno del convento, rivivendo l’armonia sovraterrena contempla il divino. Nell’arte sacra europea l’hortus conclusus diviene il simbolo della verginità di Maria quale intermediaria tra la terra e il cielo, e il giardino recupera tutto il suo carattere primordiale di luogo del divino.

Se l’hortus conclusus è ricco di valenze religiose, l’hortus deliciarum dell’uomo laico accoglie in sé valenze di ispirazione più terrene e mondane. Anche in questo caso si tratta di uno spazio protetto da mura, dove la natura addomesticata è sottratta a quella ostile e temuta, e dove accanto alle meraviglie della natura si può godere il piacere dell’amor cortese protagonista dei romanzi cavallereschi. È un giardino nel quale uomini e donne godono della reciproca compagnia cantando, ballando e abbandonandosi alla piacevolezza del luogo, che nel Rinascimento sarà anche quello della pace e dello svago dove alternare l’otium al negotium, ovvero la vita attiva e quella contemplativa.

I trattati umanistici di architettura, ispirati ai riscoperti testi classici, consentono un rapporto di maggior confidenza con la natura studiata per essere addomesticata e resa produttiva. Si sviluppano pertanto i concetti secondo i quali realizzare un giardino: impianto simmetrico integrato all’edificio, attenzione all’esposizione climatica, regolare disposizione delle piante. Le ville medicee, realizzate nella prima metà del Quattrocento da Cosimo il Vecchio nel territorio intorno a Firenze, sono i primi esempi di questa nuova visione antropocentrica dei giardini.

Giusto Utens, La villa di Cafaggiolo, 1599-1602, già nel Museo Firenze com’era, Firenze. Wikimedia Commons, pubblico dominio

Tale visione troverà un organico sviluppo a Roma presso la corte pontificia e gli ambienti ad essa legati, connotandosi dal XV secolo per un carattere di magnificenza sempre più teso all’affermazione e all’esibizione del potere del proprietario: il giardino come contenitore di collezioni di antichità qualifica il principe, il papa o il signore come potente e raffinato cultore delle arti. Contemporaneamente il disegno del giardino si fa più articolato e complesso, a rafforzare l’idea rinascimentale dell’uomo in grado di plasmare e ridisegnare la natura. Nasce quel giardino all’italiana che per due secoli sarà adottato nelle dimore e nelle regge dei potenti d’Europa e che la sensibilità barocca trasformerà nel luogo magico della meraviglia, introducendovi cascate d’acqua, suoni, automi e grotte, tutti elementi che, nel fondere elementi naturali con elementi architettonici, giocano a suscitare stupore.

Con Luigi XIV a metà ‘600 il modello francese di Versailles si impone come massima espressione dell’assolutismo monarchico: il dominio totale sulla natura, rimodellata e piegata alla logica del progetto attraverso radicali trasformazioni del paesaggio naturale, simboleggia il dominio del sovrano sui suoi sudditi e su tutta la Francia. La magnificenza e la spettacolarità sono l’elemento indispensabile del potere assoluto. La superficie del giardino si dilata sino a perdersi nella vastità del territorio, e viali amplissimi sembrano perdersi verso l’infinito: si sfrutta ogni componente del paesaggio enfatizzandola o addirittura inventandola se necessario, affidando ad ampi parterres d’acqua la funzione di specchi in grado di dilatare lo spazio.

Pierre-Denis Martin, Veduta generale del parco del castello di Marly, 1724, RMN. Wikimedia Commons, pubblico dominio

Sul finire del XVIII secolo il repertorio francese aulico e trionfale, modello per le altre corti europee contemporanee, comincia a dissolversi a favore di un giardino più intimo e raccolto che si fa cornice per riunioni conviviali, corteggi amorosi o feste galanti. Le singole parti del giardino acquistano indipendenza dal paesaggio circostante e gli spazi si raccolgono isolandosi verso l’interno, in una dimensione più raccolta e confortevole dove potersi appartare. È il preludio alla nascita e all’affermazione del giardino paesaggistico che nasce in Inghilterra sotto la spinta del pensiero illuminista e si afferma ben presto nel resto d’Europa: è una concezione che, partendo dall’osservazione che la natura è perfetta, porta ad annullare la distinzione tra giardino e paesaggio. Ispirandosi alle vedute ideali dei paesaggisti del Seicento, il giardino all’inglese si perde nel paesaggio, anche se esteticamente controllato dalla mano umana: radure, macchie di vegetazione e corsi d’acqua sono progettati per far apparire spontaneo e il più possibile “naturale” ciò che è invece frutto di un disegno molto preciso.

Nell’800 questa nuova concezione estetica svuoterà lo spazio del giardino dalle sue simbologie per trasformarlo in un luogo di puro appagamento visivo e, gradualmente, di incontri sociali. Nel corso del secolo XIX, sotto la spinta della rivoluzione industriale e dell’espansione urbana, la concezione del giardino cambierà ancora per trasformarsi nel moderno parco pubblico, il luogo del passeggio, dello svago e della socialità. L’attenzione si sposta dalla componente estetica a quella funzionale. Ciò deriva dal mutamento di condizione del visitatore del giardino: da colto osservatore si trasforma in fruitore di uno spazio organizzato per soddisfare i propri bisogni di svago e riposo.

Il giardino ha compiuto la sua parabola: da spazio personale ed esclusivo è divenuto un servizio per la collettività. Anche se proprio sul finire del secolo — tra 1897 e 1926 — sarà Claude Monet, uno dei padri dell’arte moderna, a trasformare il suo privatissimo e amatissimo giardino di Giverny in un nuovo paradiso e in una nuova, inesauribile fonte di ispirazione.

Claude Monet, Ninfee, 1919, The Metropolitan Museum of Art, New York. CC BY-SA 2.5, via Wikimedia Commons

Ho di nuovo intrapreso cose impossibili da compiere: acqua e piante che oscillano nel fondo. Fatta eccezione per la pittura e il giardinaggio, non sono buono a nulla. Il mio capolavoro meglio riuscito è il mio giardino.

C. Monet, 1893

E nessuno meglio di Monet ha saputo condensare con le parole, ma soprattutto con il segno della sua arte, il senso più profondo del giardino: un atto creativo e ricreativo capace di dare vita al periodo felice della primigenia e perduta età dell’Eden.

Anna Burchi

Anna Burchi è storica dell’arte e guida turistica per la Provincia di Roma.

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Questo è il sito di Rita Charbonnier, autrice dei romanzi Figlia del cuore (di prossima uscita per Marcos y Marcos), La sorella di Mozart (Corbaccio 2006, Piemme Bestseller 2011), La strana giornata di Alexandre Dumas e Le due vite di Elsa (Piemme 2009 e 2011). Scopri di più...

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