Cosa spinge milioni di persone a farsi analizzare il DNA per ottenere informazioni sui propri antenati? E cosa rivelano, davvero, i test genealogici?

La famiglia non è necessariamente una questione di biologia o genetica, ma può formarsi sull’impulso di una scelta. Siamo in molti a pensarla così. Però, ci sono anche persone disposte a spendere quattrini per reperire parenti di sangue in giro per il mondo; o magari, per tentare di ottenere informazioni sui propri antenati. In questo caso si parla di test genealogici.
Nel mondo esistono numerose aziende specializzate nell’esecuzione di test genealogici. Le principali sono americane e sono cinque: 23andMe, AncestryDNA, Family Tree DNA, LivingDNA/Findmypast, MyHeritage. Ancestry ha una sezione in lingua italiana, che però si occupa di alberi genealogici e non menziona i test. In italiano c’è anche il sito di iGENEA (una sorta di distaccamento di Family Tree DNA) sulla cui Home Page, tra le FAQ, campeggia la seguente irresistibile domanda:
Come posso scoprire se sono nobile o imparentato con una persona famosa?
A quanto pare c’è persino chi si arrovella su questi dilemmi… ma cosa possono rivelarci, esattamente, i test genealogici?
L’ho chiesto a Silvano Presciuttini, professore universitario di Genetica specializzato nell’analisi statistica degli alberi genealogici e nello studio della struttura genetica delle popolazioni. Fa inoltre parte di collegi peritali sull’esame del DNA in processi civili e penali, e su questo argomento ha pubblicato il libro La prova del DNA fra probabilità e certezza (Giuffrè Francis Lefebvre, 2019).
Prima di tutto, mi ha chiarito che i test genealogici non hanno nulla a che vedere con i test di paternità: non servono a stabilire se si è figli biologici di qualcuno o di qualcun altro. «È bene distinguere i due test» mi ha detto «anche se sono entrambi basati sull’analisi del DNA. Lo scopo del test genealogico è determinare quanta parte del genoma di un dato individuo è attribuibile a, o proviene da, ciascuna di una data serie di popolazioni.»
In altre parole, i test genealogici consentono di risalire alla provenienza dei propri antenati più remoti. Se lo faccio, scoprirò magari che i miei avi con la clava risiedevano nella zona della Mezzaluna Fertile, poi migrarono nell’attuale Turchia, e nel Neolitico deposero la clava per dedicarsi all’allevamento del bestiame.

Beh, non è proprio così. Per risalire ai nostri “avi con la clava” dovremmo confrontare il nostro DNA con quello di gruppi ben individuati di persone vissute in un passato remoto, e questo non è ancora possibile su larga scala. Tranne che nel caso dei Neanderthal, perché i loro resti ossei sono ben identificabili e quindi essi costituiscono una popolazione ben definita. Quello che oggi si fa con notevole dettaglio è risalire alla provenienza geografica degli antenati recenti, diciamo delle ultime 10-20 generazioni. Ciò è reso possibile da due fattori. Da un lato quello di sottoporsi a test genealogici è diventato un fenomeno diffuso: nel mondo, oltre 15 milioni di persone ne hanno fatto uno…
E quindi, una discreta parte della popolazione mondiale è “mappata”. Giusto?
Per la verità, le persone di ascendenza europea sono rappresentate in modo schiacciante; ma poiché bastano poche centinaia di individui per rappresentare adeguatamente una popolazione, si può in effetti affermare che buona parte delle popolazioni umane sono, mi piace il tuo termine, “mappate”. L’altro fattore che determina la precisione dell’attribuzione genealogica è il fatto che la tecnologia del DNA ha compiuto giganteschi passi avanti, negli ultimi vent’anni. Oggi le principali compagnie tipizzano ciascun individuo per qualcosa come 700.000 polimorfismi genetici.
Stop! Cosa sono i polimorfismi genetici, e cosa vuol dire “tipizzare” un individuo? Ti prego di spiegarlo in modo semplice: alla portata di chi, come me, non ne sa nulla.
Proviamo a immaginare il DNA come una sfilza interminabile di mattoncini accostati l’uno all’altro e diciamo che i mattoncini possono essere di colori diversi. Il 99,9% di loro è dello stesso colore in tutti gli esseri umani, mentre il restante 0,1% può essere di colore diverso in diversi individui: un certo mattoncino in una persona è rosso, in un’altra è verde. I mattoncini il cui colore può variare da una persona a un’altra sono i polimorfismi. O marcatori: i due termini sono di fatto sinonimi. “Tipizzare”, o anche “genotipizzare”, un individuo significa determinare lo stato dei polimorfismi nel suo DNA. E tra l’altro, è proprio questa minuscola percentuale di DNA “polimorfico” a determinare la nostra individualità biologica: da quell’un per mille dipendono le differenze che ci consentono di riconoscerci gli uni dagli altri.

E come si traduce tutto ciò nella possibilità di attribuire un individuo a una o più popolazioni?
Diciamo che, nella popolazione italiana, un certo mattoncino è di colore rosso nel 90% degli individui e verde nel restante 10%. Nella popolazione francese, invece, quel mattoncino è rosso nel 30% degli individui e verde nel 70%. Quindi, una persona di provenienza ignota che abbia il mattoncino rosso è più verosimilmente italiana che francese.
Tutto qui?
Eh, sì: il concetto di base è di una semplicità disarmante.
Ma fammi capire una cosa: questi test genealogici quanto sono attendibili?
Via via che passa il tempo, e sempre più persone si sottopongono ai test, e i database popolazionistici si ingrandiscono, e la tecnologia va avanti, i test divengono più accurati nello stabilire da quale popolazione provengono gli antenati recenti del soggetto: quelli dei quali si è persa la memoria. Però… c’è un grosso però. All’intera questione soggiace un problema concettuale profondo: che cos’è una “popolazione umana”? Come la si identifica?
Appunto: chi è realmente originario di una certa area del mondo?
La risposta semplice è che si considerano “aborigene” le popolazioni che hanno occupato un territorio a partire da alcune migliaia di anni fa fino al sorgere dell’era moderna, che ha determinato grandi sconvolgimenti demografici. Non per nulla, ad esempio, i neri americani sono di ascendenza africana e i bianchi americani di ascendenza europea. Questo può essere un criterio di classificazione degli esseri umani abbastanza ragionevole, ma la questione può diventare politicamente infuocata, oltre che scientificamente controversa.
La faccenda si fa interessante. Spiegami perché è scientificamente controversa.

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La questione della “classificazione” degli esseri umani è sempre un argomento scottante. In poche parole, semplificando, da una parte ci sono i genetisti antirazzisti: secondo loro, esiste un substrato comune a tutti gli esseri umani e le differenze appariscenti tra le popolazioni dei continenti sono irrilevanti, rispetto alle differenze che esistono tra un individuo e un altro. Dall’altra parte ci sono coloro che attribuiscono invece una grande importanza alle differenze genetiche responsabili delle differenze somatiche tra le popolazioni; il che può essere interpretato come giustificativo di una visione razzista.
E in che senso la definizione di “popolazione umana” può divenire politicamente infuocata? Puoi farmi qualche esempio?
Ti racconto un aneddoto. Quando gli USA (formalmente la NATO) bombardarono la Serbia nel 1999, io mi trovavo a Baltimora e condividevo l’ufficio con un simpatico collega americano. In quei giorni, lui mi chiese: “Mi spieghi, tu che vivi a due passi da laggiù, cosa significa che i Serbi fanno la guerra agli Albanesi del Kosovo con la motivazione che quella è la terra dei loro avi?” A parte le atrocità del conflitto, lui trovava assurda la giustificazione che della guerra davano i Serbi. La mia risposta fu, e lui la trovò convincente, che il concetto di “terra degli avi” era del tutto estraneo ai bianchi americani, quindi anche a lui. Loro sono tutti figli di immigrati recenti, e non sono emotivamente legati in modo profondo a un luogo specifico all’interno della nazione. Invece, i nativi americani rivendicano fortemente le terre di cui sono stati espropriati, proprio con la motivazione che quelle sono le terre dei loro avi… però, anche i nativi americani sono arrivati in America poche migliaia di anni fa dopo aver oltrepassato lo stretto di Bering, quindi chissà quali sono veramente le terre dei loro avi… e ti risparmio l’esempio della Palestina e delle etnie che la abitano ora…
Insomma, siamo tutti mescolati, e abbiamo iniziato a mescolarci in tempi remoti. Mi torna in mente “The DNA Journey”, un bel video realizzato alcuni anni fa da Momondo, il famoso motore di ricerca dedicato ai viaggi: un gruppo di persone si sottoponeva al test genealogico e ne venivano fuori non poche sorprese.
Eh, già: chissà quanti suprematisti bianchi rimarrebbero sconvolti se venissero a conoscenza della loro ascendenza genetica… basta andare abbastanza indietro nel tempo e troveremo che gli abitanti di un qualsiasi territorio sono arrivati lì in un certo momento della storia provenendo anche da molto lontano, e che inevitabilmente si sono mescolati con chi quel territorio già lo abitava, se qualcuno lo abitava. A questo punto diventa difficile capire esattamente cosa significa, ad esempio, che l’86.5% della mia ascendenza è “italiana”, come ha stabilito la ditta cui ho fatto tipizzare il mio DNA. Chi saranno mai, scientificamente parlando, questi Italiani?
Un commento su “Il fascino discreto dei test genealogici”